Non ho davvero bisogno di un capodoglio (finto) spiaggiato a Parigi sulle rive della Senna per comprendere che le condizioni del nostro mare sono divenute preoccupanti. Ancor più adesso visto che non ho potuto fare il bagno perché una nave di fronte al porto di Bari ha evidentemente lavato le cisterne e l’acqua è nera di catrame e carburante che ha rilasciato una gigantesca chiazza oleosa. “Non si preoccupi – mi dice qualcuno – vedrà che adesso il vento la porta via. Io la mattina guardo il vento e a seconda di dove spira decido dove bagnarmi. Mai, mi raccomando quando c’è il maestrale perché porta i rifiuti di plastica o la tramontana nei giorni di troppo pieno perché i reflui della fogna tornano indietro”.

Ecco, per bagnarci dobbiamo imparare a fare lo slalom tra i rifiuti! Questo ci aspetta? Così, perdonatemi, ma rimango indifferente di fronte al capodoglio spiaggiato a due passi da Notre Dame, primo perché è finto, secondo perché è di una tristezza sconvolgente che si abbia bisogno di simili “provocazioni” e sensazionalismi per sensibilizzare la popolazione sullo sfascio del nostro pianeta. Cos’è, non abbiamo più gli occhi? O cerchiamo di giustificare i nostri comportamenti o preferiamo voltare le spalle. Io purtroppo ci vedo, guardo quello che mi accade davanti al naso. Come questa meravigliosa famigliola che ha appena fatto un picnic sulla spiaggia lasciando buste piene di rumenta sulla battigia. Sono solo tre – i genitori e un bambino – ma hanno abbandonato a terra ben 12 piatti di plastica, 7 bicchieri, 8 forchettine, 10 tovaglioli, tre bottiglie, due lattine, 2 imballi di Domopack, una teglia…ahhh! Il mare porterà via tutto… E poi lo restituirà.

Torniamo allora all’esperto di correnti e venti. Non resta che imparare da lui come non bagnarci in una discarica. Senza considerare che tutta quella plastica finisce nella catena alimentare e ce la rimangeremo prima o poi. Del resto, il cassonetto ci sarebbe, ma è già strapieno! (A proposito, a questo tema ho dedicato un libro, Com’è profondo il mare, edito da Chiarelettere). Sì, sono incavolato. Tutti un po’ dovremmo esserlo. Il fatto è che non ci indigniamo più, il distacco dalla realtà è tale che non riusciamo più ad arrabbiarci. Tanto la stagione balneare sta per terminare e “passato il Santo passata la festa”. Il mare non lo guarderemo più, se non in pescheria.

Allora chissenefrega del capodoglio finto a Notre Dame. Guardiamo cosa fa il nostro vicino di ombrellone, raccogliamo la plastica che troviamo abbandonata, imponiamo al gestore del nostro stabilimento balneare di avere i box con la differenziata, di non utilizzare plastica usa e getta se non strettamente necessario. Bere l’acqua in una borraccia e non consumare cento bottigliette inutili. Questo possiamo farlo noi, poi bisogna che produrre plastica usa e getta costi di più, che si crei con quel gettito un fondo per le nostre riserve marine.

Facciamo funzionare i nostri polmoni blu e poi esportiamo i modelli a tutto il resto. Si dovrebbe mettere in commercio solo plastica biodegradabile a partire da quella che si usa nell’industria della pesca e dell’acquacoltura.

Insomma, il mare deve divenire una nostra priorità, in primis per ciascuno di noi, poi per le istituzioni, dai comuni al governo nazionale.

Quanto ai capodogli, occupiamoci di quelli spiaggiati sul serio.

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