Via libera del Senato al decreto per il Mezzogiorno, con voto di fiducia. Secondo il ministro Claudio De Vincenti è la testimonianza di “un disegno organico, un masterplan”, a “sostegno della ripresa di quest’area come condizione necessaria della ripresa di tutto il Paese”. Trovo positivo, almeno nelle intenzioni, che si individui la ripresa del Sud come passaggio imprescindibile per la ripresa di tutto il paese. Tuttavia, Gianfranco Viesti, dalle colonne del Quotidiano di Puglia (27 luglio 2017), fa eco sostenendo che il decreto sia stato concepito come “un contenitore di norme piuttosto disparate, certamente influenzato dalle prossime scadenze elettorali, che rendono non agevole un giudizio d’insieme”.

In effetti, il decreto contiene molte misure differenti tra cui la creazione delle Zone Economiche Speciali, individuabili in numero massimo di una o due per regione, sulla scorta di decreti appositi. Le aziende ricadenti nel territorio di tali Zone potranno fruire di benefici fiscali e semplificazioni amministrative. Vi è anche un provvedimento denominato “Banca delle terre abbandonate e incolte”, che punta ad assegnare terreni abbandonati da almeno dieci anni ad agricoltori che non dispongano di suolo da lavorare. Tra gli altri, vi è poi il provvedimento Resto al Sud, che consentirà, ai giovani di età inferiore ai 35 anni, di disporre di una dotazione massima di 50mila euro (35% a fondo perduto) come sostegno per una nuova attività imprenditoriale, anche in forma di cooperativa. Si tratta di misure effettivamente eterogenee, che potrebbero, se ben gestite, non comportare il solito finanziamento a pioggia.

Quello che sembra non cogliersi, tuttora, è un’adeguata riflessione sugli errori delle politiche di spesa (meglio dire di disinvestimento) al Sud e le ricadute sull’economia nazionale. È evidente, sotto traccia, che questi approcci di rinnovato interesse nei riguardi del Sud denotano una presa di coscienza del dramma determinato nelle politiche finora attuate. Si pensi alle università, le infrastrutture, la sanità. Ambiti in cui la sovrapposizione degli effetti di cattiva gestione locale e colossale disinvestimento centrale hanno determinato lo sfacelo in cui versano molte aree del Sud. Sostiene Viesti: “Purtroppo quelle che contano per la nascita e lo sviluppo delle imprese sono molto di più le condizioni complessive del Sud, dalle infrastrutture alla legalità allo stesso livello della domanda interna, che lo specifico stimolo ad intraprendere”. È infatti evidente che in assenza di un contesto favorevole e di un concreto impegno a crearlo, molte iniziative sono destinate a restare nella sfera onirica.

Insomma, se l’impostazione di queste misure fosse ancora uno strascico sostanziale dell’epoca fallimentare del “localismo virtuoso”, che ha imperversato nell’ultimo trentennio al Sud, saremmo ancora impantanati lungo la strada delle buone intenzioni. Come noto forse ai più, alla politica dell’intervento straordinario si sostituì l’incitamento pranoterapeutico a “rimboccarsi le maniche”, confidando in energie imprenditoriali che non hanno dato gran prova, visti i risultati: spreco di risorse e tracollo sul territorio. Il fallimento del localismo virtuoso si è sommato, come vien fatto osservare da Daniele Petrosino e Onofrio Romano in un saggio molto interessante “Buonanotte Mezzogiorno” (Carocci Editore), alla crisi dell’Eurozona e alla recessione internazionale avviata nel 2008.

Articolo Precedente

Crisi, da dove ripartire per ripensare la politica fiscale

next
Articolo Successivo

Dieci anni di ritardo sul Nord, perché il Sud cresce (poco) e alla velocità di un bradipo

next