Una stamperia clandestina in un appartamento di Latina. Apostille del notaio che ricordano “il tappo di ceralacca dello spumante”. E un broker assicurativo barese con tre identità, che sul mercato si presentava come il londinese “Peter J. Carroll”. Tanto è bastato, secondo la Dda di Brescia, per rifilare polizze fidejussorie false per mezzo miliardo di euro a società che smaltiscono rifiuti e lavorano su grandi infrastrutture nazionali, lasciando scoperti settori nevralgici come la tutela ambientale e i grandi appalti pubblici. Il giro di false fidejussioni, che coprendo il rischio delle imprese private avrebbero dovuto tutelare la parte pubblica (enti e società partecipate dallo Stato) da eventuali danni o imprevisti, è stato scoperto grazie a un’indagine della Procura di Brescia, coordinata dal procuratore aggiunto Sandro Raimondi e dal sostituto procuratore della Dna Roberto Pennisi, che il 18 luglio scorso ha portato all’arresto di due persone: il broker Felice Di Gennaro, considerato il capo dell’organizzazione, e il complice rumeno Robert Kovacs.

Da Rfi a Consip: polizze false per un valore di 556 milioni – Il metodo, secondo la ricostruzione degli inquirenti, era incredibilmente semplice: il gruppo – considerato dai pm un’associazione a delinquere internazionale nel campo delle truffe assicurative – avrebbe sfruttato il nome di importanti società assicurative inglesi, in realtà non più operanti in Italia da diversi anni, fabbricando polizze false che venivano spedite per posta da Londra con i sigilli di uno studio notarile inglese. Vittime della presunta truffa una trentina di aziende private contraenti le polizze: da società di smaltimento rifiuti (anche pericolosi) come la Systema Ambiente di Brescia del gruppo Cerroni e la Waste Italia a imprese aggiudicatarie di grandi commesse pubbliche come il gruppo Matarrese (truffato per 120 milioni di euro), il consorzio stabile Unimed e la Esim di Bari (107 milioni) – tutti e tre impegnati in lavori per Rfi -, il gruppo D’Agostino (68 milioni) nei confronti di Italferr e la Semataf di Matera (29 milioni) sempre verso Rfi. Ma è la lista dei beneficiari delle fidejussioni inesistenti – i soggetti pubblici rimasti con un pugno di mosche – a fare impallidire: Rete Ferroviaria Italiana (332 milioni di euro), Italferr (68 milioni), Anas (33 milioni), Provincia di Brescia (17 milioni), Consip (4 milioni), Regione Lombardia (1,9 milioni), Ufficio delle Dogane di Venezia e Regione Emilia Romagna (750mila euro), Prefettura di Roma (369mila) e Roma Capitale (188mila), solo per citarne alcuni. Il totale è di 556 milioni di euro, di cui almeno 178 milioni per la tutela dal rischio ambientale.

Il Gip: “Organizzazione transnazionale per le fidejussioni tossiche” – L’indagine è cominciata nel 2014 seguendo la pista di un presunto traffico di rifiuti: dagli accertamenti del Gico della Guardia di finanza di Brescia, guidato dal colonnello Marco Tione, è emersa una polizza falsa di 3,7 milioni di euro rilasciata alla società di smaltimento rifiuti Rmb di Polpenazze (Brescia), depositata a garanzia dell’Autorizzazione integrata ambientale emessa dalla Provincia di Brescia. Gli investigatori si accorgono che la società inglese che aveva emesso la fidejussione, la Fgic Uk Ltd, secondo la banca dati dell’Ivass non operava più in Italia dal 2008: parte così un’indagine che dai broker intermediari arriva fino agli assicuratori che operavano per la “finta” Fgic Uk Ltd, scoprendo una “organizzazione transnazionale dedita allo smercio di fidejussioni tossiche – scrive il Gip Paolo Mainardi nell’ordinanza di custodia cautelare – che, proposte a costi concorrenziali, consentono a chi le acquista di adempiere agli obblighi previsti nell’ambito di gare d’appalto”. La bresciana Rmb, azienda di recupero metalli e rifiuti speciali, scoperta la truffa nel settembre 2015 ha subito presentato un’altra garanzia.

Un broker con tre identità – Ma le indagini della Finanza nel frattempo si erano estese a tutti i contratti stipulati tra il giugno 2014 e l’ottobre 2015 dalla rete di falsi assicuratori (undici in tutto gli indagati), che operavano impropriamente sia con il nome di “Fgic Uk Ltd” che con quello di “Assured Guarany Ltd”. Secondo le dichiarazioni di un indagato, negli interrogatori tenuti presso la sede della Dna di via Giulia a Roma (che per la gravità del fenomeno nel 2015 ha diramato un’allerta a tutte le Procure, tutta l’organizzazione sarebbe ruotata intorno a un broker inglese di nome “Peter J. Carrol”, per gli inquirenti nient’altro che l’alter ego di Di Gennaro, ex assicuratore residente da anni a Latina in grado di parlare fluentemente l’inglese e con forti agganci professionali nella capitale britannica. Oltre al falso nome Carrol, Di Gennaro avrebbe usato anche l’alter ego “Bardella”, presentato a intermediari e clienti come suo fantomatico collaboratore. Di Gennaro dal canto suo rigetta le accuse: “Ogni addebito sarà chiarito nelle sedi opportune – fa sapere a Ilfattoquotidiano.it il suo legale, Pierpaolo Fischetti -: il mio cliente si dichiara innocente e lo dimostrerà, come ha saputo fare in occasione di altre inchieste poi finite archiviate. Il capo di imputazione si basa essenzialmente sulle accuse di un unico dichiarante la cui attendibilità sarà saggiata nell’istruttoria dibattimentale”. Ma le indagini continuano: “Abbiamo una rogatoria ancora pendente con il Regno Unito – fa sapere a Ilfattoquotidiano.it una fonte investigativa -. Per ora abbiamo accertato le polizze emesse nell’arco di soli 12 mesi, ma crediamo che una grossa fetta del rischio possa essere scoperta a livello nazionale”.

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