Scorrendo le uscite estive in dvd capita di ritrovarsi con due titoli lontanissimi tra loro ma sotto la stessa distribuzione. La mia attenzione questa volta si è posata su due film della BiM distanti tra loro anche nel tempo. Uno addirittura di vent’anni fa, l’altro fresco di candidatura all’Oscar come Miglior film d’animazione nel 2017. Sontuosa come la sua Tartaruga Rossa la consapevolezza artistica di Michaël Dudok de Wit emerge dai contenuti extra dove nell’intervista densa di spunti e riflessioni fatta da Dario Moccia il regista illustratore snocciola il suo modo d’intendere il cinema parlando di tempo atmosferico e la natura nella narrazione come elementi fondamentali.

Il suo film, favola pittorica senza parole immersa nel blu e nel verde di un’isola deserta, racconta il naufragio di un uomo, il suo cambiamento intorno alla frenesia fallimentare di salpare e la nuova vita tra una donna e una grande tartaruga rossa. Fluttua in maniera fiabesca, senza parole e ricchissimo d’incanto questo piccolo miracolo prodotto dal famigerato Studio Ghibli. La lungimiranza dei giapponesi nel pescare un artista olandese è stata puntualissima: seppur europeo in tutto il suo background ma dal tratto stilistico orientale, De Wit aveva già vinto l’Oscar per il Miglior cortometraggio d’animazione nel 2001: Father and Daughter, poetico film breve presente negli extra.

Grazie ai suoi film ci si tuffa nel suo mondo naturalistico e il linguaggio visivo corre su una cerimonialità stilizzata quasi da moderno kabuki. Che siano biciclette disegnate in nero su carta o onde marine a pastello turchese, la magia delle sue immagini rapisce per la palpabilità sensoriale e intima legata a testi sempre aperti a personali interpretazioni, spingendo e attivando creatività e fantasia anche fuori dallo schermo, verso lo spettatore. Nell’animazione lui stesso paragona il disegno fatto a mano a uno strumento acustico, e l’animazione in computer grafica a uno strumento dai suoni sintetici. “Sempre bellissimo, ma a volte un po’ troppo pulito”. Oltre alla storia fiabesca della Tartaruga Rossa, l’uscita di luglio si presenta in una confezione in cartoncino tutta ambientalista a forma di anfibio – ma poco protettiva del disco e alquanto scomoda seppur graziosa – contiene anche diverse featurette sulle tecniche grafiche del regista e l’accesso a un concorso marchiato Cts, il Centro Turistico Studentesco e Giovanile.

Se La Tartaruga Rossa, anno di produzione 2016, affida ai sensi il significato della vita dal punto di vista della sopravvivenza, Il Sapore della Ciliegia procede in senso opposto, utilizzando il punto di vista della morte, del suicidio. La lotta alla vita nell’oceano di De Wit ora diventa organizzazione della fine e successiva sepoltura. Un uomo gira tra cave di roccia e piazze d’operai a giornata per assoldare un uomo che a pagamento ricopra il suo cadavere dopo la programmata dipartita, ma non sarà facile trovarlo.

I film sono legati dal colore rosso. Come la magnificenza di un grande animale pieno di fascino che doveva risaltare nel blu marino. Invece per Abbas Kiarostami – scomparso un anno fa e autore del vincitore del film Palma d’Oro a Cannes che ha appena compiuto vent’anni – il rosso è in bilico tra frutto salvifico metafora di gusto della vita e colore tragico. Dolce o tremendamente aspro. Lo diluisce nella luce dei crepuscoli polverosi attraversati dal protagonista, nella terra arida o nel semplice pensiero dell’azione suicidio, quindi culmine tra vita e morte. Fuori dal croma, citato da un vecchio saggio in uno dei viaggi dell’aspirante morto, il verso coranico Non distruggetevi con le vostre mani ascoltato ai tempi dell’Isis risuona assordante e pieno di significati.

Nella riedizione per l’home video, tra gli extra si trovano Il coro, cortometraggio dell’82 firmato dallo stesso Kiarostami e un’intervista al distributore Valerio De Paolis. Magari un po’ datata (del 2003) ma interessante per conoscere la storia di un nome importante del cinema italiano. La chicca aggiunta al cofanetto è Il Vento e la Foglia, Poesie scelte, libro in versi del cineasta. Una scrittura in pochissime righe lineari ed essenziali vagamente simili agli haiku giapponesi. Curiosa circolarità che ci riporterebbe a De Wit, i suoi naufraghi e le sue sagge tartarughe.

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