Le leggi che dovrebbero combattere la corruzione finiscono col garantire l’impunità ai corrotti e ai corruttori. Parola del magistrato Antonino Di Matteo, per anni sostituto procuratore della dda di Palermo e da poche settimane arrivato a Roma alla Direzione nazionale antimafia. “A oggi in Italia il quadro normativo in vigore garantisce ai corrotti e ai collusi una sostanziale impunità”, ha detto il pm nel suo discorso nell’aula Giulio Cesare in Campidoglio, dove gli è stata conferita del conferimento della cittadinanza onoraria della Capitale. 

“Mi occupo da oltre 25 anni di indagini e processi di mafia e so bene come sia nel Dna delle mafie italiane, soprattutto di Cosa Nostra, la ricerca esasperata del rapporto con il potere politico, imprenditoriale e anche talvolta con quello ecclesiastico-religioso. Senza quei rapporti le mafie sarebbero facilmente debellabili“, ha aggiunto Di Matteo che ha poi sottolineato come contro le mafie “pur avendo vinto molte battaglie non riusciamo a vincere la guerra”. Un cenno, seppur indiretto, il pm lo ha fatto alla recente sentenza dei giudici romani che hanno fatto cadere l’accusa di associazione mafiosa per tutti gli imputati del processo su Mafia capitale.

“Non si è compreso che il sistema criminale con cui oggi ci dobbiamo confrontare è integrato tra metodi mafiosi e sistema corruttivo“, ha detto Di Matteo, che continua a rappresentare la pubblica accusa al processo sulla cosiddetta Trattativa tra pezzi dello Stato e Cosa nostra in corso davanti alla corte d’Assise di Palermo. In questo senso, il magistrato ha auspicato che “uno Stato credibile e autorevole” non possa “accontentarsi di verità parziali“. “Nei giorni dell’anniversario delle stragi di via D’Amelio e Capaci – ha detto Di Matteo – abbiamo ricordato Giovanni Falcone, Paolo Borsellino e quanti altri sono deceduti. Alla loro memoria va oggi il mio pensiero. Ma non possiamo limitarci a un ricordo emozionale. Questo Paese se ha la dignità di fare memoria, non può archiviare quelle vicende. Chi conosce gli atti sa che emergono responsabilità ulteriori, oltre quelle per cui ci sono state condanne”.

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