Anticipare lo scioglimento del consiglio regionale e andare a votare a novembre. Nicola Zingaretti ci sta pensando, è una delle soluzioni al vaglio del presidente della Regione Lazio, la cui leadership è attaccata da (possibili) candidati temibili e da un rapporto con Matteo Renzi non proprio idilliaco. Nonostante l’entourage del governatore, contattato da IlFattoQuotidiano.it, derubrichi la vicenda a fake news, dall’interno del Pd romano (e non solo) arrivano conferme su come l’argomento sia “all’ordine del giorno” dei ragionamenti politici di Zingaretti, tanto quanto la (clamorosa) eventualità di una non ricandidatura. Voci così forti da arrivare a scomodare la senatrice del M5S, Paola Taverna, la quale nei giorni scorsi ha attaccato frontalmente il governatore: “Se Zingaretti pensa davvero di poter gestire le istituzioni come fossero casa sua, sappia che noi non resteremo fermi a guardare. Siamo pronti alle barricate”.

I VANTAGGI POLITICI: ELIMINARE LOMBARDI E SMARCARSI DA RENZI – L’exit strategy allo studio dei consiglieri politici del presidente laziale produrrebbe tutta una serie di indubbi vantaggi politici. Intanto, metterebbe in difficoltà Roberta Lombardi, la deputata pentastellata che mira alla candidatura in Regione. Il “non statuto” del M5S, infatti, obbliga gli eletti a terminare il mandato nell’organo per il quale si sono proposti senza effettuare balzelli istituzionali, regola che ad esempio non ha permesso ad Alessandro Di Battista di correre per diventare sindaco di Roma; in caso di election day nel 2018 il problema non si porrebbe, ma se le urne regionali venissero anticipate, Lombardi sarebbe costretta a chiedere una deroga non facile da digerire per gli attivisti e pericolosa in chiave futura.

Esiste poi un tema interno riguardante la coalizione. Oltre a far parte della minoranza orlandiana del Pd, Zingaretti è un cosiddetto “neo ulivista”, uno che governa con uno schieramento molto ampio che comprende i cattolici moderati e gli ex Prc: sarebbe piuttosto complicato presentarsi con una alleanza del genere proprio mentre sul nazionale si andrebbe a consumare la spaccatura del centrosinistra; come se non bastasse, in questo quadro lo stesso Zingaretti rischierebbe di essere travolto dall’eventuale referendum pro o contro Matteo Renzi. Ultimo tema, proprio il rapporto con il segretario: i due da tempo si guardano in cagnesco, anche se la nota diplomazia zingarettiana ha finora evitato duri scontri frontali. Tuttavia, c’è un episodio che non è passato inosservato: in un recente colloquio con il direttore del Corriere della Sera, Luciano Fontana, Renzi ha speso parole estremamente positive nei confronti del sindaco di Amatrice, Sergio Pirozzi, elevando il possibile contendente di Zingaretti alla corsa regionale addirittura ad “amico” e “modello”, cosa che ha un po’ indispettito l’inquilino di via Rosa Raimondi Garibaldi.

“MI CANDIDO, NON MI CANDIDO” – Fra gli zingarettiani – corrente nella quale ultimamente si lamenta scarso dialogo – in realtà giurano che il leader regionale sia ancora indeciso se ripresentarsi o, invece, ambire a una più tranquilla vita da parlamentare, magari al fine di lavorare alla costruzione un centrosinistra ampio e unito “nel dopo Renzi” sul “modello Prodi”. Un “gioco della margherita” che nel voto anticipato troverebbe finalmente la sua soluzione. Lo stesso dilemma, tuttavia, affligge anche il già citato Pirozzi. In Regione hanno dato molto fastidio i recenti attacchi del sindaco di Amatrice all’assessore all’Ambiente Mario Buschini, e il mancato riconoscimento di alcuni impegni rispettati dall’Ente – come la consegna di 66 casette di legno agli abitanti di Accumoli che si sono aggiunte alle altre 200 portate ad Amatrice – per cui si ipotizza che il primo cittadino amatriciano sia già in campagna elettorale. Ma dal centrodestra romano, spiegano che la discesa in campo di Pirozzi non è così certa (nonostante le pressioni di Silvio Berlusconi): l’ex allenatore del Trastevere Calcio, se eletto in Parlamento, potrebbe infatti mantenere il suo ruolo di primo cittadino amatriciano, rivestendo – chiunque vinca – la figura di “sindaco della ricostruzione”, mentre al suo posto per il centrodestra sarebbe ora in prima fila candidarsi il sindaco di Frosinone, Nicola Ottaviani, 50enne appartenente a Fratelli d’Italia, in grado di ottenere la rielezione nel capoluogo ciociaro al primo turno con il 56,38%.

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