“La sfortuna viene dalla bocca e ci rovina, la fortuna viene dal cuore e ci fa onore”. Con il detto di un monaco buddista giapponese (Nichiren Daishonin) che si ripete in testa come un ritornello, mi sono messa a scrivere questo post sulla relazione finale della Commissione Jo Cox  (dal nome della deputata laburista britannica uccisa a Leeds nel 2016), sull’intolleranza, la xenofobia, il razzismo presentata il 20 luglio scorso da Laura Boldrini, presidente della Camera.

La Commissione Cox  si è occupata di discriminazione e anche  dell’odio sul web dove rigurgiti di una spaventosa pancia virtuale colpiscono donne, migranti, ebrei, rom, omosessuali e transessuali e tutte/i coloro che divengono bersaglio  della “negritudine” dell’umanità. Le parole sono usate come pietre sulla spinta di stereotipi, paure e pregiudizi per fare male e annichilire. Scorrono dalla pancia alla testa fino a determinare precise scelte politiche che limitano la libertà e i diritti di una grande fetta di persone.

La relazione è accompagnata da un’infografica che rappresenta la piramide dell’odio tutta italiana ma che, purtroppo, ha analoghi fenomeni anche nel resto del mondo. Prima di mettere mano alla tastiera però, mi imbatto in un post su Facebook che denuncia il linciaggio nei confronti di una ragazza che ha denunciato uno stupro di gruppo avvenuto pochi giorni fa sullo scoglio Marechiaro di Napoli. Non c’è nulla di virtuale. E’ violenza che si aggiunge a violenza, tangibile, facile da commettere e troppo spesso impunemente: ne morì Tiziana Cantone, indotta al suicidio da un’ impietosa orda di odiatori.

Nei giorni scorsi è stata anche promossa dall’Associazione articolo 21 la campagna #liberodallodio per esortare gli inserzionisti a disertare la testata Libero, diretta da Vittorio Feltri, che si contraddistingue (anche se è spesso in cattiva compagnia di altre testate) per un linguaggio d’odio: perché l’hate speech non ferisce solo sul web, dove trova un veicolo più veloce e pervasivo per diffondersi. Si stampa anche sulle pagine dei quotidiani e si ascolta nelle dichiarazioni di politici che ne fanno un attizzatoio di rabbia contro qualche bersaglio per raccogliere voti.

La xilella della democrazia ha diversi veicoli di propagazione e la Piramide dell’odio presentata dalla Commissione Cox ci dice che le donne sono di gran lunga le maggiori destinatarie dell’hate speech, per l’appunto i discorsi di odio’, online. Un recente rapporto dell’Onu ha rilevato che tre quarti delle donne che frequentano il web sono state oggetto di sessismo. In Italia, il 63% dei tweet negativi rilevati sono destinati a donne in parità con gli omosessuali mentre il 10% circa dei tweet negativi riguardano i migranti. L’intolleranza contro le donne vede al primo posto in classifica la Lombardia (9856 ), poi l’Umbria (8096) e il Lazio (6102 ) anche se queste regioni, dove sono stati rilevati un maggior numero di contenuti discriminatori, sono quelle dove si twitta di più.

Ma le discriminazioni non si esauriscono nell’odio contro le donne. Tullio De Mauro, scomparso lo scorso gennaio, ha redatto un elenco di “parole per ferire” dimostrando che il lessico italiano è ricchissimo di insulti verso l’omosessualità, così le persone omosessuali o transessuali imparano fin da giovanissimi di essere “spregevoli”. Non a caso l’Italia è il Paese europeo dove un minor numero di omosessuali fa outing mentre le persone transessuali dichiarano di percepire aggressioni verbali, ingiurie e molestie in numero superiore al resto della comunità Lgbt (54%).

Dal web alla Camera dei Deputati il salto, purtroppo, è corto. I pregiudizi esigono il loro spazio anche nel luogo d’elezione della democrazia ed escludendo i discorsi d’odio riferiti a partiti politici avversari, le persone Lgbt sono destinatarie del 18% di ingiurie, una percentuale inferiore all’odio riservato ai migranti, destinatari del 65% di contenuti violenti.

Nel presentare la relazione, Laura Boldrini ha detto che “siamo andati oltre la par condicio tra razzismo e antirazzismo: ha vinto il razzista. Chi semina odio oggi è più presente nel dibattito pubblico di chi lo subisce. La diffusione dell’odio sta mettendo a repentaglio l’assetto democratico. Tante persone non si sentono libere di parlare, di dire la propria, perché hanno paura dell’assalto dell’odio. Il disprezzo verbale che ascoltiamo spesso nelle nostre aule, in tv, nei talk show, ha ripercussioni nella società: perché se i politici lo utilizzano, anche i cittadini si sentono autorizzati a fare altrettanto”.

@nadiesdaa

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