Londra, lunedì 10 luglio. Cammino spedito verso l’Ambasciata della Mongolia. Mi serve un visto turistico e mi serve oggi. Controllando il loro sito ho scoperto che, questa settimana, i Mongoli celebrano il festival del Nadaam. Anche se non ho alcuna idea di che cosa sia questo Nadaam, sono costretto a prenderlo sul serio, visto che per festeggiarlo l’Ambasciata resterà chiusa dall’11 al 15 luglio. No, io il 15 luglio parto. Destinazione? Mongolia appunto. Ho solo oggi per risolvere la questione visto. Parto perciò di prima mattina da Oxford, dove vivo e lavoro. Un’ora di treno, mezz’ora di metropolitana ed eccomi arrivato. Tutto per nulla: le date sul sito internet, mi è chiaro ora davanti al cancello chiuso a chiave dell’ambasciata, non vengono aggiornate dall’anno scorso.

Avrei dovuto aspettarmelo. Una cosa simile mi è successa, solo un paio di mesi or sono, con il consolato russo. Ci si potrebbe domandare se, come un appassionato di filatelica brama i francobolli a tiratura limitata, io mi diletti a collezionare visti di paesi esotici. In un certo senso, la risposta è sì: per il viaggio che mi appresto a fare, raccogliere visti di paesi bizzarri è una premessa imprescindibile. Insieme a Marco, compagno di banco al liceo e amico di una vita, tra pochi giorni parteciperò al Mongol Rally.

‘Il Mongol che?!’ si chiederanno in diversi. Per rispondere, occorre fare un passo indietro di quasi due anni. Tashkent, capitale dell’Uzbekistan. L’alba è vicina, il caldo già insopportabile. Sono appena sceso dall’ultimo di due aerei che da Londra mi hanno portato, via Mosca, fino a questo remoto angolo dell’Asia centrale. Mentre il taxi sfreccia dall’aeroporto lungo le strade deserte della capitale asiatica, provo senza successo a rianimare il mio cellulare. Raggiungo con non poche difficoltà il fatiscente ostello prenotato giorni prima su Internet. Lì già dorme Marco, anche lui atterrato da poco, dopo 34 ore di volo e tre aerei da Sydney, dove vive. Ci conosciamo dal 1998, ma questa è la prima vacanza che facciamo assieme. Dell’Uzbekistan non sappiamo nulla, salvo che si tratta del paese di Samarcanda – nome che, per noi cresciuti a cavallo tra gli anni Ottanta e Novanta – è impresso per sempre nella memoria grazie alle parole di Roberto Vecchioni e al talk-show di Michele Santoro.

Quelle due settimane in Uzbekistan nel 2015 segnano l’inizio non solo di una nostra fascinazione per l’Asia centrale e per la via della seta, ma anche di un progetto folle, nato proprio in quell’ostello di Tashkent, al cui ingresso faceva sfoggio di sé una vecchia Citroen 2cv, coperta di adesivi, firme e gomme di riserva. Fu sul cofano di quella macchina che, per la prima volta, Marco e io incontrammo il Mongol Rally – e decidemmo di parteciparvi.

Il Mongol Rally è l’evento motoristico amatoriale più grande al mondo ed è famoso per avere poche regole: tre, per la precisione.

La prima è che per raggiungere il traguardo (Ulan-Ude in Siberia) non vi è una rotta prestabilita.

La seconda regola riguarda la macchina, che deve essere quanto più antiquata possibile e con una cilindrata inferiore ai 1200cc.

Infine, visto che il Rally è un evento a scopo benefico, ogni partecipante si deve impegnare a raccogliere almeno mille sterline britanniche per beneficenza.

Nel novero di queste persone quasi assennate, noi non rientriamo proprio: così, nella scelta dell’itinerario, siamo stati gli unici a decidere di passare dalla Cina, percorrendo, dal Mediterraneo a Gansu, la quasi totalità dell’antica via della seta, ma anche aggiungendo 5000 km alla nostra già lughissima rotta. Così ancora, abbiamo deciso di intraprendere la nostra avventura a bordo di una Fiat Panda di quasi 30 anni. Infine, ci siamo posti l’obiettivo di raccogliere in beneficenza una cifra quasi dieci volte superiore alle mille sterline richieste dagli organizzatori del Rally.

Piacere, Andrea e Marco, anche noti come team HerodotusExpress – in omaggio al ‘padre della storia’ Erodoto. Nato in Asia Minore (odierna Turchia) più di 2500 anni fa, Erodoto percorre il Mediterraeo in lungo e in largo, alla ricerca di risposte alle grandi domande del suo tempo: quali fossero le cause che avevano condotto i Persiani a fondare il più grande impero della storia, e come un popolo disunito di città stato, quello greco, fosse stato in grado di avere la meglio su questo Leviatano. Un viaggiatore curioso e avventuroso, Erodoto non giudica: osserva i costumi dei popoli della sua epoca e li documenta scrupolosamente, senza preconcetti. Il frutto dei suoi viaggi ed indagini è raccolto nelle Storie (traduzione italiana di A. Colonna – F. Bevilacqua, Utet, 2006), il primo esempio di storiografia a noi noto, e ancora oggi un capolavoro della letteratura mondiale. Quest’estate, nella nostra corsa ad attraversare un terzo del mondo a bordo di una Fiat Panda classe 1988, le Storie di Erodoto viaggeranno con noi, nella speranza che anche lo spirito del suo autore ci accompagni.

Ce la faremo? Probabilmente no, penso mentre mi allontano dall’Ambasciata mongola, il passaporto in una mano, il telefono nell’altra, scrivendo febbrilmente messaggi a Marco alla ricerca di una soluzione che non sembra esistere. Ma ecco che un piano azzardato comincia a delinearsi: in quanto cittadino europeo, fino alla Bulgaria posso viaggiare con la sola carta di identità. Una amica (grazie Chiara) mi salva offrendosi di consegnare la mia domanda di visto lunedì prossimo e spedirmi poi il passaporto a Praga via Dhl.

Domenica 16 luglio 2017 è cominciata la più grande avventura della nostra vita. Ed io, a questo appuntamento epocale, ci arrivo senza passaporto: insomma, meglio di così, non avrei potuto cominciare.

E a proposito di beneficenza, per quanti volessero, ecco le indicazioni per aiutarci a raccogliere 10mila dollari per Cool Earth e Sustainable preservation initiative, due associazioni senza scopo di lucro che si impegnano rispettivamente a fermare deforestazione e la depredazione del patrimonio culturale mondiale. In tre mesi, abbiamo già raccolto più di 3200 dollari, ma la strada è ancora lunga…

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