Resto convinto che la verità sulle stragi di via D’Amelio e di Capaci non l’avremo mai. Non sapremo mai chi sono stati i mandanti ma abbiamo un dovere: fare in modo che quei due nomi non diventino una riga della pagina 122 del libro di storia. Stamattina penso ai miei alunni nati nel 2007. Per loro chi sono questi due uomini? Li conoscono davvero? Sanno che cosa hanno fatto? Come sono stati ammazzati?

C’è il rischio che i nomi di Falcone e Borsellino diventino come quelli di Mazzini e Garibaldi. Stamattina in via D’Amelio ci sarà la ministra dell’Istruzione Valeria Fedeli. Una presenza che non può essere casuale. Non sempre si è visto il titolare del ministero di viale Trastevere scegliere di essere a Palermo in questa giornata. Ma non basta. Abbiamo bisogno di una scuola che non si fermi alla Seconda guerra mondiale, di maestri che non si limitino ad essere degli esecutori delle indicazioni ministeriali, di dirigenti che non si prestino ad inoltrare nella posta dell’istituto la nota della ministra sul 23 maggio o sul 19 luglio.

Non è più tempo per lasciare questa memoria nelle mani della buona volontà di un maestro o di un professore. Serve una scuola che istituzionalizzi l’ora di educazione civica. La storia di Falcone e Borsellino deve essere studiata nelle scuole primarie così come alle secondarie di primo e secondo grado. Deve entrare a far parte della memoria di questo Paese, dev’essere il vessillo d’Italia.

Cara ministra, forse dovremmo cominciare da un semplice gesto: donare ad ogni scuola una fotografia di Falcone e Borsellino. Quei due volti sorridenti, uno accanto all’altro, nella foto scattata da Tony Gentile, potrebbero apparire in ogni classe tra il crocifisso e la fotografia del Presidente della Repubblica.

Abbiamo un compito da svolgere insieme: passare il testimone. La mia generazione e quella della ministra Fedeli sono cresciute sapendo dove e con chi eravamo il 19 luglio 1992 quando avvenne la strage di via D’Amelio. Chi è nato nel 2000 non può avere la stessa sensazione.

Potrebbe avere anche un padre e una madre che non ne sanno nulla di questa storia ma la scuola dev’esserci. La strada ce l’ha indicata Borsellino stesso: “La lotta alla mafia non deve essere soltanto una distaccata opera di repressione, ma un movimento culturale e morale che coinvolga tutti e specialmente le giovani generazioni, le più adatte a sentire subito la bellezza del fresco profumo di libertà che fa rifiutare il puzzo del compromesso morale, dell’indifferenza, della contiguità e quindi della complicità”.

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