Quattro mezze cartelle, ecco la quarta proposta. Dell’inedito vanno inviati incipit, un brano a scelta, un’ipotesi di quarta di copertina e una breve biografia in 5400 battute. Inviare a 4mezzecartelle@gmail.com. Qui la puntata precedente. Buona lettura e buon luglio (rb)

Il venerdì dopo la fine del mondo
di Ernesto Melis

Incipit

Stefano

La fine del mondo fu sopravvalutata da tutti i grossi gruppi di potere e di osservazione internazionale. Cominciò come un soffio morbido e simil-ribollente nel mare, a non più di 500 metri dal ponte che collega Malmö a Copenaghen, relativamente vicino a lì dove il Kattegat e lo Skagerrak lambiscono i propri fiotti tra di loro.

Il sibilo scaturiva dall’acqua e non dal suo fondo, e nemmeno precisamente in mare, ma da una pozza molto ampia, quasi una piscina naturale, divisa da pochi metri di terra dal Mar del Nord, sulla spiaggia del campeggio di Malmö. O meglio sulla sua costa, considerato che il lembo di terra via via più sottile che dava sul mare aveva le caratteristiche di un piccolo fiordo in miniatura: non più di un metro e mezzo, e con delle scalette per immergersi e risalire dall’acqua.

Il primo ad accorgersi di questo ribollire, un ribollire del tutto fenomenico, assimilabile maggiormente alla turbolenza di una bottiglia di acqua gasata e per niente un passaggio di stati termici da liquido a gassoso, il primo ad accorgersene, fu un ragazzo che da un paese mediterraneo si trovava nel Nord quel 17 agosto, un giovedì.

Brano scelto

Else

Else rimaneva alla cassa dell’alimentare del campeggio, continuando a sorridere e giocando con le dita di una mano sulle punte dei capelli corti. Ne arrotolava gli apici, li stropicciava a palline e poi tentava di portarseli alla bocca, senza riuscirci. Ripensava a quelle bolle, alla fine del mondo, e ne parlava, mentalmente con la madre, come faceva sempre da quando lei se n’era andata cinque anni prima.

– Chissà cosa accadrà ora, chissà se parleranno anche di me. Else era caratterizzata da quella leggerezza vacua che facevano di lei una ragazza gentile e spontanea, sensuale a suo modo, certo anche per quel suo particolare sorriso.

– Vorrei che questo fosse un segno del destino, componeva la ragazza nella sua mente, come una lettera scritta e infinita, di cinque anni e cinquemila pagine. Non erano propriamente pensieri, ma un dialogo ininterrotto con la madre, che lei aveva iniziato all’epoca e del quale non aveva ancora raggiunto un paragrafo risolutivo, per lasciare alla madre la parola e sentirsi dire che sì, andava bene, e poteva essere un segno del destino: ora che il mondo finiva lei poteva finalmente tornare e risponderle.

Ma ciò che spingeva Else a questo immenso componimento non aveva peso sul suo essere, non era un’angoscia di abbandono, un rifugio solipsistico nella non accettazione di essere rimasta sola col padre e i fratelli. Era qualcosa che andava più indietro, un fantasioso interloquire come con un personaggio immaginario, silenzioso e pronto ad ascoltarla in qualsiasi momento e su qualsiasi argomento, il gioco di una bambina.

Quarta di copertina, un’ipotesi

Non era chiaro cosa avesse di speciale la fine del mondo che si verificò giovedì 17 agosto, in un mare del nord, con solo testimone Stefano, un ventenne in vacanza.

Ma pur senza specialità, il suo racconto si propagò lentamente, dalla prima testimonianza diretta di Stefano all’interno del campeggio, poi attraverso parole e sensazione riportate ad amici di amici, fino a estendersi verso comunicazioni anonime e incontrollate, attraverso i mezzi più disparati, da parte di persone che ne avevano sentito parlare a loro volta, o ne avevano appena letto, o anche solo se l’erano inventato sul momento senza sapere di essersi inventati una verità.

Non avendo nulla di speciale, la fine del mondo, non è su di essa che si concentra questo racconto, quanto su tutti coloro che ne sono venuti a conoscenza – e alla fine saranno proprio tutti- e in qualche modo hanno contribuito a diffonderne la notizia, senza rendersi conto che ciò li avrebbe resi partecipi della loro ultima occasione di condivisione.

L’autore

Ernesto Melis: classe 1978, interrompe senza mai riprenderli gli studi universitari in campo umanistico per ben due volte dopo un minimo, ma significativo, excursus occupazionale tramite agenzie di lavoro interinale. Una volta abbandonata la carriera teatrale e alternato lunghe consulenze professionali nel campo dello sviluppo informatico a periodi di attività di scrittura (cinema e narrativa) sempre più brevi, ha optato per la carriera di cervello in fuga in una capitale europea dalla lingua a lui sconosciuta.

Fattore, questo, che gli preclude ogni lavoro creativo in loco ma gli garantisce l’abnegazione necessaria al ruolo di Travet.

Scrive per essere letto, e non ha bisogno di scrivere, come recitava il titolo del suo blog di racconti quotidiani. Per lunga parte della sua carriera di lettore ha cernito esclusivamente tra i titoli di autori già morti e si augura che possa essergli riservata la stessa cura come scrittore.

ernesto.melis@camallosospetto.net

Articolo Precedente

Lacrime di sale, cronache da Lampedusa. Un viaggio da cui si torna cambiati

next
Articolo Successivo

Venti d’estate, ospiti della rassegna culturale Ascanio Celestini e Zerocalcare: “Dialogo tra due periferie”

next