Il ministro Graziano Delrio nel 2012 è andato dall’allora prefetto di Reggio Emilia Antonella De Miro con gli esponenti della comunità calabrese (i cutresi), ma “non era in discussione lo strumento delle interdittive”, bensì “il fatto che nella comunità dei cutresi non ci fossero persone perbene”. A ricostruire l’incontro in aula nel corso del processo Aemilia, è stato lo stesso titolare ai Trasporti e sindaco del capoluogo di provincia dal 2004 al 2013. Delrio è stato infatti citato come testimone dalla difesa degli imputati Gianluigi Sarcone, Pasquale Brescia e Francesco Scida ha ribadito quanto detto nella sua deposizione del 2012 davanti ai pm, quando venne convocato come persona informata sui fatti (non è mai stato indagato). Oggi in Aula ha quindi dichiarato di aver accettato di andare a parlare con De Miro per intervenire contro il fenomeno di presunta stigmatizzazione di una parte della cittadinanza: “A fronte di una crescita dell’opinione pubblica e di notizie allarmanti che emergevano sulla stampa, qualcuno si sentiva ingiustamente accomunato ai delinquenti e questo è un fenomeno da stigmatizzare perché i cittadini reggiani sono sia di origine cutrese che non. Quelli che fanno i delinquenti lo fanno e le persone perbene non devono dire da dove vengono per dimostrarlo”. Dunque, ha continuato il ministro, “ci fu un disagio vero, percepito, che però nulla toglie al fatto che era importante e giusto che la comunità civile prendesse coscienza del fenomeno”. In questo contesto “i consiglieri comunali mi chiesero di poter manifestare la loro solidarietà per l’azione contro la ‘ndrangheta, ma anche la preoccupazione che ci fosse una stigmatizzazione generale verso i cutresi”.

Gli avvocati hanno chiesto all’ex sindaco se avesse avuto sentore del fenomeno della ‘ndrangheta sul territorio, Delrio ha risposto: “Certamente. Sapevamo che a Brescello c’era la presenza della famiglia Grande Aracri, conoscevamo i processi e le condanne definitive e quindi sapevamo che nel territorio reggiano in senso lato, cioè in provincia c’era questa presenza. Erano notizie note al punto che, visto che dalle Forze dell’ordine non arrivavano evidenze dirette di penetrazione della criminalità organizzata, chiedemmo di fare un’inchiesta sulle risultanze processuali coordinata dal professore Enzo Ciconte che fu poi ripetuta nel 2010“. Questo perché, “avevamo la percezione che anche Reggio Emilia potesse diventare bersaglio dell’azione criminale”. A fare la differenza, ha detto oggi in Aula, nella lotta alle infiltrazioni e a determinare la presa di consapevolezza della comunità, fu il protocollo firmato dal Comune a maggio del 2011 con la Prefettura, che aprì la stagione delle interdittive antimafia. “Fu con l’azione mirata del prefetto De Miro che la coscienza a Reggio divenne per fortuna molto più forte”. Nella sua deposizione nel 2012, Delrio aveva detto non aver “mai avuto per osservazione diretta” una “testimonianza” della presenza della ‘ndrangheta sul territorio. E che non c’erano state “in nessun modo” delle notizie certe di specifiche presenze negli appalti. Delrio oggi in Aula ha parlato anche dei rapporti con l’associazione dei costruttori edili, per la maggior parte di origine calabrese, Aier e con il suo presidente Antonio Rizzo. “L’Aier fu ricevuta come tutte le associazioni che ne facevano richiesta dall’assessore all’Urbanistica ed esaminammo una loro proposta su come utilizzare l’invenduto che rimaneva dopo una stagione di grande espansione urbanistica. In giunta ritenni di non far passare questa proposta amministrativa”. In merito al presidente dell’associazione, Delrio ha spiegato: “Rizzo abita nella località dove abito io a Canali, avevamo degli amici in comune e lui è sempre stato un mio sostenitore politico”.

Il ministro e a lungo tempo considerato fedelissimo di Matteo Renzi ha anche dato alcuni dettagli del viaggio fatto a Cutro nel 2009, alla vigilia delle elezioni amministrative in cui era candidato a sindaco della città del Tricolore per il secondo mandato. “Cutro”, ha detto Delrio, “è una città legata a Reggio Emilia da un patto di amicizia fin dal 1995. Avevo ricevuto numerosi inviti, ho accettato quello del sindaco e mi sono recato a Cutro per una visita istituzionale- indossavo la fascia tricolore- durata 24 ore”. Il ministro ha smentito di aver partecipato alla processione del Santissimo crocefisso, evento che si svolge nel paesino calabrese ogni sette anni: “Non ho partecipato alla processione. Ho solo assistito alla messa, poi sono stato in piazza con altri sindaci e 5.000 persone e me ne sono andato”. La sera prima, ha specificato Delrio, avevo cenato con due consiglieri comunali eletti a Reggio Emilia: Antonio Olivo e Salvatore Scarpino“. Durante la deposizione del 2012, disse che aveva partecipato alla processione, ma che non ricordava se gli fosse stata indicata la casa di Nicolino Grande Aracri. Il ministro disse anche di non sapere che Nicolino fosse originario di Cutro, ma solo che “era calabrese”. In quell’occasione i pm incalzarono l’ex sindaco sul viaggio e lui disse di aver partecipato alla processione e che il sindaco Salvatore Migale gli sembrava “una persona impegnata” nelle iniziative antimafia. Nel corso della deposizione del 2012, il magistrato antimafia Roberto Pennisi disse anche a Delrio: “Un sindaco non può rendersi conto delle infiltrazioni mafiose “solo perché il Prefetto adotta i provvedimenti o perché viene il dottor Gratteri a parlare del pericolo”.

Il maxi-processo contro la ‘ndrangheta in Emilia è iniziato a marzo 2016. Da inizio luglio è stata messa sotto tutela Cristina Beretti, presidente vicario del tribunale di Reggio Emilia e componente del collegio giudicante del processo Aemilia. Nel corso delle ultime udienze sono state registrate tensioni con i giornalisti. Alcuni imputati, il 14 luglio scorso, hanno rivolto invettive contro i giornalisti presenti in aula durante l’udienza, urlando dalle gabbie dell’aula bunker. “In galera, scrivono cose false”, hanno detto. L’episodio si è verificato dopo che l’avvocato Stefano Vezzadini, difensore dell’imputato Gianluigi Sarcone, ha detto ad alta voce, durante l’esame di un testimone, che “i giornalisti anche di questo processo scrivono cose non vere, l’ultima ieri l’altro”. Il riferimento era alla testimonianza del consigliere comunale Mdp Salvatore Scarpino. A difendere la stampa è intervenuto l’ordine dei giornalisti dell’Emilia Romagna: “L’ennesimo tentativo di delegittimare e intimorire i giornalisti messo in atto dagli imputati del processo Aemilia”, si legge in una nota, “non condizionerà il nostro lavoro di operatori dell’informazione al servizio dei cittadini e della verità”.

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