C’è la concreta possibilità che riprendano servizio almeno tre poliziotti condannati nel 2012 per i falsi della scuola Diaz e le false molotov introdotte nella scuola durante il G8 del 2001 a Genova. Mentre l’Europa bacchetta l’Italia per la tortura e i magistrati scrivono alla Boldrini per far notare le falle della nuova legge, sono agli sgoccioli i 5 anni di interdizione dai pubblici uffici dell’ex capo dello Sco Gilberto Caldarozzi, dell’ex dirigente della Digos Spartaco Mortola e del funzionario Pietro Troiani. Proprio nei giorni dell’anniversario del vertice ligure e della “macelleria messicana”.

I tre potrebbero tornare a lavorare, come accaduto già a Massimo Nucera, l’agente che raccontò di aver ricevuto una coltellata durante il blitz notturno nell’istituto genovese dove dormivano i manifestanti. Nessuno di loro è stato ritenuto colpevole per le violenze: sono stati condannati solo per le firme messe sotto al verbale che certificava falsamente la presenza di due molotov nella Diaz. E ora si preparano a riavere la loro divisa come anticipato da Repubblica e Secolo XIX.

Non si tratta, tra l’altro, di figure di secondo piano. Troiani portò due bottiglie incendiarie dentro la Diaz: vennero definite armi pronte all’uso ‘trovate sul posto’, ma in realtà erano state sequestrare in un’aiuola nel pomeriggio precedente. Mortola fu invece condannato a 3 anni e 8 mesi (in buona parte coperti da indulto) per i falsi verbali e a un anno e 2 mesi per l’induzione alla falsa testimonianza dell’allora questore di Genova Francesco Colucci.

Il ‘superpoliziotto’ Caldarozzi – che finì anche ai domiciliari – è stato reclutato da un banca negli anni passati e poi ha ricevuto la chiamata come consulente per la sicurezza da Finmeccanica dal suo ex capo Gianni De Gennaro. Nel 2014 Cassazione scrisse nelle motivazioni sul rigetto del suo affidamento ai servizi sociali: “Si è prestato a comportamenti illegali di copertura poliziesca propri dei peggiori regimi antidemocratici“.

Nel processo per i fatti del G8, vennero inflitte pene tra i 2 e i 14 anni a sedici imputati. Vennero colpiti anche alcuni tra i massimi dirigenti di allora finiti per un certo tempo ai domiciliari, come Francesco Gratteri e Giovanni Luperi. Dei 16 condannati la metà ha potuto andare in pensione, mentre per gli altri è concreta la possibilità di rientrare in servizio.

“Non siamo sorpresi, semmai avviliti per lo stato di salute della democrazia italiana”, commentano in una nota Vittorio Agnoletto, già portavoce del Gsf e Lorenzo Guadagnucci, vittima della Diaz e co-fondatore del Comitato Verità e Giustizia per Genova. La sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo che nel 2015 condannò l’italia per il blitz del 21 luglio 2001, ricordano, forniva precise indicazioni: “Quando degli agenti dello Stato sono imputati per reati che implicano dei maltrattamenti, è importante che siano sospesi dalle loro funzioni durante l’istruzione o il processo e che, in caso di condanna, ne siano rimossi”, recitava la sentenza. E ancora, “la Corte si rammarica che la polizia italiana si sia potuta rifiutare impunemente di fornire alle autorità competenti la collaborazione necessaria all’identificazione degli agenti che potevano essere coinvolti negli atti di tortura”. Prescrizioni rimaste lettera morta. “Ci chiediamo”, concludono Agnoletto e Guadagnucci, “come i cittadini possano sentirsi tutelati nei loro diritti costituzionali da chi ha commesso tali reati e non ha mai riconosciuto le proprie responsabilità”.

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