Una proposta alternativa alla chiusura dei porti per mettere pressione all’Europa sul tema migranti. Ne parlano i Radicali, l’ex ministro degli Esteri Emma Bonino e il segretario Riccardo Magi. La propone il senatore Luigi Manconi del Pd: “Il ministro dell’Interno Minniti la sta esaminando”. Si tratta una direttiva europea di 16 anni fa, la numero 55,  introdotta dal Consiglio Ue per i casi di “affluenza massiccia di sfollati”, come si chiamava all’epoca l’emergenza migranti. I cui numeri erano ben diversi. Consente a uno Stato di concedere un permesso temporaneo a tutti i migranti di una certa nazionalità per un preciso arco temporale. Il Times di Londra l’ha definita “opzione nucleare” e riporta che l’Italia sarebbe pronta a concedere 200mila visti di questo genere. Una soluzione realizzabile? Secondo i sostenitori, sì. Secondo gli esperti di diritto europeo, no. Per motivi tecnici e politici.

La discrezionalità sulle condizioni di applicabilità o meno della direttiva 55 dipende dal Consiglio Ue, che può intervenire o per sua volontà o perché chiamato a decidere da un Paese membro. Non ci sono parametri oggettivi a cui fare riferimento. “Finora la direttiva non è mai stata adottata e anche le richieste per farlo sono state pochissime”, spiega Francesco Cherubini, professore di Diritto dell’Unione europea alla Luiss di Roma. Un primo elemento che in dubbio la fattibilità della soluzione.

Il motivo è politico: se il Consiglio Ue applica la risoluzione, scatta immediatamente l’obbligo di solidarietà. Significa che ogni Paese deve accogliere una parte della quota di migranti con permesso temporaneo. Lo scopo infatti è sgravare il sistema di accoglienza dello Stato che l’ha impugnata. “Proprio su questo aspetto c’era il rischio che si incagliasse la decisione politica e per questo non si è mai arrivati ad adottare la misura”, prosegue Cherubini. La relocation insegna: la Commissione a settembre 2015 si era posta l’obiettivo di ricollocare in Europa 160mila profughi presenti in Grecia e Italia. L’asticella a marzo è poi scesa a 98.200. Secondo l’ultimo rapporto sull’andamento della relocation, siamo ancora a poco più di 11mila persone ricollocate. La solidarietà non è di casa tra i membri dell’Unione europea.

La base giuridica italiana per l’applicazione della direttiva 55 è l’articolo 20 del Testo unico sull’immigrazione, la Bibbia delle politiche migratorie in Italia. L’articolo s’intitola Misure straordinarie di accoglienza per eventi eccezionali e prevede la possibilità di concedere un permesso umanitario temporaneo anche nel caso in cui il Consiglio Ue dica di no. Con una differenza fondamentale: nessun Paese membro, a quel punto, è obbligato a ospitare i migranti con il permesso temporaneo.

In questo caso il precedente storico esiste. Risale al 2011: Silvio Berlusconi era il presidente del Consiglio, Roberto Maroni era il titolare del Viminale. L’emergenza si chiamava Tunisia: era la rivoluzione dei Gelsomini, il primo atto delle sfortunate Primavere arabe. Il 5 aprile 2011 Maroni firmò un accordo con Tunisi per bloccare i barconi e rispedire indietro chi entrava in Italia irregolarmente. Intanto Berlusconi con un Dpcm concesse a 18.500 persone arrivate in Italia tra il 1 gennaio e il 4 aprile 2011 un permesso di soggiorno di sei mesi, per motivi umanitari. Per quelli che non rientravano nell’arco temporale, il destino era quello di salire su una aereo e tornare indietro.

Dopo l’introduzione del permesso temporaneo, la Francia chiuse le frontiere a Ventimiglia. Paradossalmente, prima dell’introduzione del Dpcm Parigi era stata tollerante sugli sconfinamenti. Non a quel punto. “Sospese Schengen proprio per impedire che persone senza titolo circolassero in Francia”, ricorda Cherubini. Bruxelles aveva respinto la richiesta italiana, in modo pilatesco. “Non credo che nelle condizioni attuali l’impiego di questa direttiva sia possibile”, commenta Cherubini.

In un’intervista a La Stampa Emma Bonino definisce la direttiva 55 “uno strumento di pressione efficace”, oltre che un modo per far circolare i migranti nei confini Ue “nel rispetto delle regole di Schengen che in ogni caso prevedono deroghe per motivi umanitari”. “L’ipotesi di chiudere i porti sarebbe più credibile? Secondo me no e per di più rischia di scontrarsi con il superiore diritto del mare. È una strada meno efficace e meno legittimata politicamente”, aggiunge parlando con IlFattoQuotidiano.it il senatore Manconi. “Credo che oggi rispetto al 2011 ci sia maggiore consapevolezza a Bruxelles e maggiore possibilità che si possa usare la direttiva”, prosegue. Non è una soluzione, ma un modo diverso e più legittimo per aprire un confronto politico con il resto dell’Europa. “Non serve inventare niente, le norme ci sono già – sottolinea – per altro il permesso temporaneo per motivi umanitari è una deroga prevista anche all’interno dello stesso Regolamento di Dublino”.

Non è, per il senatore Pd, l’unico strumento esistente di cui non si fa l’uso adeguato. L’altro caso, per Manconi, riguarda i corridoi umanitari, vie d’ingresso aperte da Tavola Valdese, Comunità di Sant’Egidio e Comunità delle Chiese evangeliche che porteranno in 24 mesi mille profughi dai campi del Libano all’Italia al costo totale di due milioni di euro. In aereo, senza arricchire i trafficanti e senza pericoli. Mille persone selezionate, che hanno diritto a ricominciare a vivere in condizioni di pace. “Qualcuno potrà dire solo mille, io dico nientemeno che mille”, dice il senatore. E fa un confronto con l’accordo Ue-Turchia, costato 3 miliardi di euro. Se questi soldi fossero stati investiti in questo tipo di corridoi umanitari “oggi avremmo 1,5 milioni di persone scelte, entrate in Europa per vie sicure”, dice Manconi. L’ultima stoccata è per Minniti: “L’utopia è quello di chiudere i porti. Il nostro è realismo politico”.

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