LISBONA – Come la Giudecca per Venezia, il quartiere di Almada, uno dei più “rossi” anche sotto la dittatura del generale Salazar, guarda dall’altra parte del mare Lisbona. Il fiume Tejo, che di lì a poco si tuffa nel freddo oceano Atlantico, divide il quartiere popolare, che si salvò dall’ultimo grande terremoto che colpì la capitale portoghese, con il suo simbolo, il Christo Rei copia di quello del Corcovado di Rio de Janeiro che ci osserva e protegge dall’alto dei suoi centodieci metri.

Un ponte rosso, che ricorda quello di San Francisco, unisce questi lembi di terra. In questa periferia vivibile, colma di murales colorati, da 34 anni va in scena il pieno e composito Festival de Almada (dal 4 al 18 luglio), diretto dal regista Rodrigo Francisco (ha studiato a Napoli), con 27 spettacoli teatrali (con punte internazionali da Israele, Belgio, Norvegia, Inghilterra, Romania, Argentina, Francia, Spagna, per l’Italia Pippo Delbono con Vangelo), 13 concerti e quattro spettacoli di teatro ragazzi. Per simbolo (ogni anno un artista internazionale ne disegna i contorni) una sorta di drago con due teste umane, quasi un leone alato del Doge con tatuaggi maori e quattro rotelle al posto delle zampe, una sorta di chimera moderna.

In un mix tra danza classica e una confessione a scena aperta A perna esquerda de Tchaikovski ci introduce nell’affascinante disciplina ferrea di una ballerina, l’étoile Barbora Hruskova che ci offre “il suo ultimo spettacolo”, la chiusura del cerchio, la simbolica morte del cigno. Non danzerà più. Una lavagna con un centinaio delle pièce interpretate e l’amica-nemica sbarra, compagna di infinite ore di studio di perfezionamento matto e disperatissimo, forsennato e duro.

Ci racconta dei dolori e degli infortuni, della estrema passione per quell’arte così totalizzante e assolutista. Ci apre le porte del dietro le quinte, in quel meraviglioso sacrificio che è stare sulle punte anche se gli alluci sanguinano e le dita dei piedi si formano, leggiadre a volteggiare, sgraziate come albatri a camminare. Si parla di fine con nostalgia e mai come liberazione, un ringraziamento all’arte, alla magia del palcoscenico.

Libertà in russo si traduce con “Svaboda”, il titolo del testo dell’argentino Bernardo Cappa, pièce crudele, affilata dove la miseria e la fatica si scontrano con l’infelicità da una parte di una coppia sovietica emigrata nelle campagne della Pampa (poveri fuggiti dalla povertà) e dall’altra di un avvocato arrivato lì nella loro umile abitazione per dirimere una controversia: la loro mucca, entrando in mezzo alla strada, è stata travolta da un furgone, sfasciandolo.

L’avvocato del proprietario del van perderà a poco a poco le sue certezze borghesi entrando in questo universo dove i bisogni primari sono ancora l’unico baluardo possibile al quale appigliarsi, dove le regole che vigono sono quelle della vita e della morte, del sangue degli animali da macellare, dove la pietà non può essere contemplata, la sensibilità è soltanto un’inutile fragilità.

La Pampa è acre e aspra come i cow boy della serie old style “Bonanza” che la coppia di mandriani divora e aspetta a gloria. In quel nulla, tutto è sospeso, la civiltà lontana, le logiche ribaltate, le verità confuse, la salvezza inquietante come un pozzo senza fine, la via d’uscita è un tunnel buio in quest’angolo di mondo dostoevskiano di forza bruta e sconfitta.

Sconfitti sono anche gli Operarios, drammaturgia e coreografia di Miguel Moreira e Romeu Runa, che prende spunto e mosse proprio dai lavoratori di questi docks che si affacciano sull’acqua adesso lasciati in decadimento e sfascio, stroncati dai licenziamenti, dalla crisi, dalla globalizzazione. L’acqua è il tema dominante e centrale di questi lavoratori ormai rimasti nudi e desolati come marionette.

Il burattinaio, con fare kantoriano e giacca e cravatta, si aggira con una pila a illuminare le scene, con aria paternalistica. Qui ad Almada si costruivano le grandi navi che adesso l’attore in scena ha in braccio nostalgicamente in scala da modellino. Tutto appare naufragare, annegare, soccombere sotto l’acqua che scroscia a secchiate sui protagonisti mentre un grande legno non diventa salvifico galleggiante ma pesante zavorra che schiaccia tragicamente i due corpi nudi portati alla deriva su un gommone, su questo pantano stagnante, in questo sciacquio putrido e fangoso. Almada val bene una messa.

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