L’Inps dà la colpa al ministero del Lavoro, che “dopo 7 mesi ancora non emana i decreti attuativi”. Lo staff di Giuliano Poletti nega e sostiene che manca solo la firma della Corte dei Conti. Quanto tempo ci vorrà? Chi può dirlo. Intanto quasi 3mila persone gravemente malate per aver lavorato a contatto con l’amianto aspettano. L’ultima legge di Bilancio consente loro di ottenere il prepensionamento anche se hanno pochi anni di contributi versati. Ma senza decreti attuativi quella possibilità resta lettera morta. Così loro aspettano. Da sette mesi. Una perdita di tempo che gli ammalati di carcinomi o mesoteliomi da esposizione all’amianto non si possono certo permettere. Molti, poi, non ce la fanno proprio più ad andare in fabbrica o al cantiere tutte le mattine, magari tra una sessione di chemio e l’altra. Spesso fanno fatica perfino ad alzarsi dal letto, hanno l’affanno dopo appena una rampa di scale.

E dire che a fine 2016 avevano festeggiato: nel comma 250 della finanziaria, fortemente voluto dal deputato Pd Antonio Boccuzzi, è stata inserita infatti una novità molto attesa e rilevante. “Grazie a quella norma”, racconta Boccuzzi che l’ha promossa in commissione Lavoro alla Camera, “chiunque abbia versato solo 5 anni di contributi e riesca a dimostrare, con un certificato Inail, di aver contratto sul posto di lavoro malattie legate all’amianto, indipendentemente dal grado d’invalidità dovrebbe aver diritto al prepensionamento”.

Un bel passo avanti rispetto alla normativa precedente. La legge del 1992 sulle agevolazioni contributive riconosciute ai malati d’amianto prevede una maggiorazione del 50% nel computo degli anni di contributi versati per chi ottiene dall’Inail il certificato d’invalidità legato a malattie causate dalla presenza di fibre killer sul posto di lavoro. “Una misura che, al netto delle varie progressive modifiche, manteneva un difetto sostanziale”, afferma Ezio Bonanni, presidente dell’Osservatorio nazionale amianto (Ona). Quale? “Semplice: se, anche in virtù di quella maggiorazione, non si superava il tetto minimo di anni di contribuzione ordinario, i malati causa amianto non potevano comunque andare in pensione”. Parliamo di “una platea tra le 2 e le 3mila persone”, che hanno respirato per anni, spesso inconsapevolmente, le fibre cancerogene.

Ecco perché il comma 250 era stato accolto con grandi speranze. C’è scritto, testualmente, che “ai fini del diritto alla pensione di inabilità” per i malati d’amianto, “il requisito contributivo si intende perfezionato quando risultino versati a favore dell’assicurato almeno cinque anni nell’intera vita lavorativa”. Tutto molto più semplice, in teoria. Ma in pratica non è così. Perché servono le solite disposizioni attuative, che il ministero del Lavoro di concerto con il Tesoro era chiamato a emanare “entro 60 giorni dall’entrata in vigore della legge”. Due mesi di tempo, dunque. “E invece di mesi ne sono passati quasi 7 e di quei decreti non c’è traccia”, affermano i collaboratori di Tito Boeri. “Senza, noi semplicemente non possiamo accogliere alcuna richiesta”. Tutto fermo, insomma. I motivi del ritardo? “Bisogna chiederli al ministero del Lavoro”, si giustificano dall’Inps.

Ma i tecnici di Via Veneto contattati da ilfattoquotidiano.it ostentano stupore. Alla fine, dopo una lunga serie di balbettii e di mezze giustificazioni, dallo staff di Poletti arriva la risposta. Che è l’ennesimo rimpallo di responsabilità: “Il decreto ministeriale è stato firmato dai ministri del Lavoro e dell’Economia ed è alla Corte dei conti dal 20 giugno”. Inutile chiedere previsioni sui tempi necessari per completare la procedura. Inutile pure far notare che comunque il 20 giugno è caduto ben al di là dei 60 giorni fissati come limite nella finanziaria. Spiegazioni ulteriori non se ne ottengono. Nel frattempo, perfino Boccuzzi brancola nel buio. “Francamente, non sappiamo come sia possibile. Anzi, stiamo pensando di presentare una interrogazione al ministro Poletti, sperando che ci risponda”. Ci vorrà ancora del tempo.

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