Tutto come da copione. Lo statuto della nuova Agenzia delle Entrate – Riscossione, pubblicato in Gazzetta ufficiale giovedì, conferma le previsioni dello scorso anno quando l’ex premier Matteo Renzi annunciò in pompa magna la “abolizione di Equitalia: cambia tutto perché tutto resti come prima. Dopo la rottamazione delle cartelle esattoriali (il termine entro cui fare domanda era il 21 aprile, ora la parola passa ai contribuenti che devono decidere se aderire o meno), infatti, il nuovo ente pubblico economico che si occuperà della riscossione sotto la vigilanza del Tesoro continuerà a seguire le stesse regole. E ad applicare ai contribuenti gli stessi costi di gestione della pratica in vigore fino ad oggi.

L’articolo 11 del decreto, “Criteri per la determinazione dei corrispettivi dei servizi prestati”, recita infatti che “i servizi di cui all’articolo 2 comma 2 lettera a” – l’attività di riscossione, appunto – prestati dall’Agenzia “in favore di soggetti privati o pubblici, incluse le amministrazioni statali, sono remunerati, con il riconoscimento alla stessa Agenzia degli importi inerenti agli oneri di riscossione e di esecuzione previsti dalla normativa vigente”. In particolare il decreto legislativo varato dal governo Renzi il 24 settembre 2015, in attuazione della delega fiscale, in base al quale chi paga oltre il termine deve versare a titolo di contributo per il funzionamento del servizio il 6% dell’importo dovuto. Lo stesso decreto attribuisce al direttore delle Entrate il compito di stabilire annualmente, in base alla “media dei tassi bancari attivi”, gli interessi di mora.

Lo statuto cita poi “gli importi fissati dal decreto del direttore generale del Dipartimento delle entrate del Ministero delle finanze del 21 novembre 2000 e dal decreto del capo del Dipartimento per le politiche fiscali del 13 giugno 2007”: si tratta dei rimborsi per le spese relative a procedure esecutive come i pignoramenti e delle spese di notifica della cartella di pagamento. Quanto al discusso libero accesso alle banche dati (come quelle dell’Anagrafe tributaria e dell’Inps), sarà “regolato convenzionalmente”.

La nascita ufficiale della “nuova” agenzia, prevista per l’1 luglio, non arriva sotto i migliori auspici. La nomina come presidente del nuovo direttore dell’Agenzia delle Entrate ed ex numero uno di Equitalia Ernesto Maria Ruffini, innanzitutto, non è stata bollinata dalla Corte dei Conti che ha anzi chiesto chiarimenti al Tesoro. Il 27 luglio il Consiglio di Stato si pronuncerà sul ricorso di un sindacato contro l’immissione nel nuovo ente di personale di Equitalia che aveva un contratto di diritto privato e non ha sostenuto alcun concorso. Lo statuto cerca di metterci una pezza sancendo che “l’Agenzia subentra a titolo universale nei rapporti di lavoro dei dipendenti di Equitalia S.p.a. e di Equitalia Servizi di riscossione S.p.a”, che “tale personale è trasferito all’Agenzia senza soluzione di continuità e mantiene la posizione giuridica, economica e previdenziale alla data del trasferimento” e soprattutto che “il rapporto di lavoro del personale dipendente è disciplinato dalle norme che regolano il rapporto di lavoro privato”. Insomma: non diventeranno tutti dipendenti pubblici, ma esattamente il contrario.

Le sedi degli sportelli restano invariate, ma a partire da lunedì 3 luglio ci saranno nuovo logo e nuova modulistica. Cambia anche il portale internet, raggiungibile all’indirizzo www.agenziaentrateriscossione.gov.it. Entrando nell’area riservata con le credenziali di accesso è possibile controllare la propria situazione debitoria, pagare cartelle e avvisi, chiedere e ottenere una rateizzazione fino a 60mila euro, sospendere la riscossione nei casi previsti dalla legge, richiedere il servizio di alert Sms – Se Mi Scordo, delegare un intermediario e visualizzare i documenti, anche quelli relativi alla definizione agevolata.

Ma venerdì 30, nel fatidico “tax day” in cui i contribuenti sono stati chiamati a pagare Irpef, Irap, Ires e Imu, circa 800 ex dirigenti incaricati delle agenzie fiscali (dichiarati illegittimi dalla Consulta nel 2015) hanno scioperato. La protesta era contro l’emendamento alla manovrina che, senza risolvere la loro situazione, ha prorogato di un anno le posizioni organizzative temporanee create per lasciarli al loro posto in attesa di bandire un concorso. Posizioni che prevedono una retribuzione inferiore per fare le stesse cose, con la “delega di firma” dei dirigenti di ruolo rimasti.

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