2.424.495.000 di euro. E’ questa la maxi-sanzione inflitta dalla Commissione europea a Google per «abuso di posizione dominante».  La multa al gigante californiano è stata comminata dopo aver effettuato (e documentato) un’analisi molto approfondita durata 7 anni. Il 30 novembre 2010 la Commissione Europea aveva, infatti, disposto l’apertura di un’istruttoria nei confronti di Google per abuso di posizione dominante (art. 102 TFUE), appunto, nel settore delle ricerche on line: i concorrenti lamentavano un trattamento sfavorevole dei loro servizi di ricerca nei risultati di ricerca rispetto a Google. L’indagine della Commissione si è concentrata in particolare sulla rilevanza (quality score) dei risultati di servizi concorrenti che, al pari di Google, offrivano risultati di ricerca verticali (es. comparazione di prezzi), il che influisce sui prezzi pagati dagli inserzionisti per la pubblicità on line.

Nel 2013 Google aveva presentato degli impegni per limitare la possibilità di essere sanzionata. In casi come quello il procedimento viene chiuso senza l’accertamento di una violazione della disciplina antitrust, né l’imposizione di una sanzione: la Commissione sancisce un accordo tra l’impresa indagata e l’autorità in cui la prima si impegna a modificare il proprio comportamento o la propria struttura per risolvere la problematica anti-concorrenziale. L’accordo sembrava vicino, ma poi non si era realizzato.

A quel punto si era capito che si sarebbe andati allo scontro e Google ha reagito irrigidendo le proprie posizioni. La Commissione, quindi, il 15 aprile 2015 aveva inviato a Google due addebiti formali tra i quali vi era quello relativo all’abuso sui mercati dei servizi generali di ricerca online: secondo la Commissione, Google ha favorito sistematicamente il proprio prodotto per gli acquisti comparativi (Google shopping) nei risultati delle ricerche.

Il 20 aprile 2016 la Commissione Europea aveva comunicato la conclusione preliminare dell’indagine nei confronti dell’attività di Google. Secondo l’Antitrust europeo, l’azienda viola le regole europee di concorrenza abusando della sua posizione dominante nel campo delle ricerca online. La multa era, dunque, attesa anche se, nei giorni scorsi, erano circolate voci informali che prevedevano una multa da “solo” un miliardo di euro.

I quasi 2 miliardi e mezzo sono senza dubbio una somma rilevante, che trova pochi precedenti nel settore dell’informatica, ma a Google poteva andare peggio: il motore di ricerca rischiava, infatti, una multa sino ad almeno 9 miliardi di dollari. La Commissione ha, infatti, facoltà di irrogare sanzioni sino al 10% del fatturato e Google, stando ai dati di bilancio 2016, fattura 90 miliardi di dollari. Una prassi raramente applicata a Bruxelles e praticamente mai in Italia, ove le autorità di settore nonostante esista tale possibilità, tendono ad adottare sanzioni molto più modeste e non commisurate al fatturato o accettare, in funzione proconcorrenziale e di beneficio per i consumatori, gli impegni delle imprese soggette ad investigazioni antitrust.

Altro fronte importante è quello consequenziale alla pronuncia odierna, la Commissione ricorda che Google ha 90 giorni di tempo per mettere fine alle pratiche anti-concorrenziali accertate e allontanare lo spettro della sanzione del 5% del fatturato della società madre di Google, Alphabet. Inoltre lo stesso organo comunitario pone l’accento su un altro istituto del tutto sconosciuto in Italia, nonostante la possibile applicazione pratica, l’azione civile (prevista dall’art 33 della legge antitrust) che chiunque potrebbe avviare per l’illecito concorrenziale: «Google è passibile di azioni civili che possono essere portate avanti nei singoli Stati membri da chiunque, soggetti o imprese, si senta danneggiato dal suo comportamento anticoncorrenziale». 

Il rischio per Google, dunque, è trovarsi di fronte a migliaia di cause di aziende penalizzate.

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