Pochi giorni e i repubblicani potrebbero realizzare un sogno a lungo coltivato: la cancellazione del’Affordable Care Act, la riforma sanitaria di Barack Obama. Per il G.O.P. sarebbe un atto che oltre alla politica coinvolge i simboli: l’Obamacare è infatti stata la riforma più significativa fatta approvare da Obama in otto anni di presidenza. Per Donald Trump sarebbe finalmente un successo legislativo, dopo un inizio di mandato segnato da polemiche, scandali, promesse mancate. Il problema è che il passaggio della nuova riforma sanitaria, per i repubblicani, è tutt’altro che scontato.

Il progetto dei repubblicani del Senato (dove venerdì è andato in scena un sit-in di protesta, nella foto), più moderato rispetto a quello della Camera, prevede tagli profondi al Medicaid (l’assistenza sanitaria per i più poveri, cui fa ricorso un americano su cinque), la fine dell’obbligo di dotarsi di una assicurazione sanitaria e la riduzione delle fasce di popolazione che potranno accedere ai contributi federali per l’assistenza. Previsti consistenti aumenti dei costi per la sanità degli anziani (le assicurazioni potranno far pagare agli anziani premi cinque volte più alti rispetto ai giovani; oggi il limite è tre volte). Verranno anche cancellate anche tutte quelle imposte extra a carico dei ricchi, che con l’Obamacare erano servite a pagare l’assistenza ai più deboli.

Il bill è stato presentato da Mitch McConnell, il leader repubblicano del Senato, come un modo per “offrire sollievo agli americani disperati per l’Obamacare, che sta crollando”. Trump ne ha lodato l’equilibrio (ma il presidente aveva già minacciato di ritirare i sussidi pagati alle assicurazioni per coprire i costi delle deduzioni). Barack Obama, in una delle rare prese di posizione post-presidenza, ha invece parlato di “crudeltà” della riforma: “La legge del Senato non è nemmeno una nuova legge. E’ un massiccio trasferimento di ricchezza dalla classe media e dalle famiglie povere alla gente più ricca d’America. Offre enormi tagli alle tasse dei ricchi e alle industrie delle assicurazioni, pagati con il taglio dei servizi sanitari di tutti gli altri”.

Oltre alla polemica politica, a questo punto contano però i numeri. I repubblicani, che al Senato sono 52, hanno bisogno di 51 voti per far approvare la nuova legge. Potrebbero essere 51 senatori, o potrebbero essere 50 senatori più il voto del vice presidente Mike Pence. Il G.O.P. può quindi permettersi di perdere non più di due tra i propri senatori. E qui iniziano i problemi: perché a opporsi alla riforma c’è la destra repubblicana; ci sono le senatrici contrarie ai tagli per la salute delle donne; ci sono senatori che devono affrontare, nel 2018, una difficile rielezione.

Il gruppo più agguerrito sembra quello dei conservatori – Rand Paul, Mike Lee, Ted Cruz e Ron Johnson – che immediatamente dopo la diffusione del nuovo bill hanno reso pubblica una dichiarazione comune in cui dicono di “non essere pronti a votarlo”, ma di essere “aperti a negoziati e a ottenere nuove informazioni”. L’opposizione di liberisti assoluti come Rand Paul era attesa; più sorprendente è invece il giudizio negativo del senatore del Wisconsin Ron Johnson, secondo cui la riforma è “troppo politica” e non accoglie davvero i suggerimenti di società farmaceutiche e delle assicurazioni. Per Mitch McConnell si tratterà quindi di lavorare a dubbi e critiche dei quattro; magari anche con concessioni e promesse su futuri provvedimenti a favore degli Stati che i quattro rappresentano.

Poco entusiasti della riforma sono anche i senatori Rob Portman e Shelley Moore Capito. I due rappresentano rispettivamente Ohio e West Virginia, due Stati colpiti con particolare violenza dalla crisi degli oppioidi e dalle overdose di eroina. L’allargamento del Medicaid durante gli anni di Obama ha reso possibile consistenti finanziamenti nell’assistenza della popolazione più colpita. I tagli futuri mettono a rischio quelle misure. Portman e Moore Capito vogliono dunque un’uscita “morbida” dal Medicaid – diluita su sette anni – e un parallelo aumento, 45 miliardi in dieci anni, dei fondi per trattare le dipendenze da droghe. Molto difficile che la leadership repubblicana venga incontro alle loro richieste. Difficile che Portman e Moore Capito possano votare la legge nella forma attuale.

Ci sono poi le senatrici Lisa Murkowski e Susan Collins, repubblicane moderate che non hanno intenzione di tagliare i fondi per Planned Parenthood, il gruppo che fornisce servizi per la salute delle donne e che da anni è tra i target favoriti dei repubblicani più conservatori, che l’accusano di usare i fondi federali per l’aborto. In realtà la legge – in particolare una norma nota come Hyde Amendment – già proibisce di usare i soldi del governo federale per finanziare i servizi di aborto; i tagli a Planned Parenthood avrebbero quindi un puro valore punitivo. “Non mi piace una norma che definanzi Planned Parenthood”, ha detto Susan Collins. “Non credo che Planned Parenthood debba essere inserita nelle nostre decisioni sull’Affordable Care Act”, ha spiegato Lisa Murkowski. Il carattere moderato del loro repubblicanesimo potrebbe poi rendere ostico il voto per un provvedimento che aumenta i costi per gli anziani e taglia i servizi ai più poveri.

Resta il caso, isolato, del senatore Dean Heller del Nevada. Nel 2018 Heller sarà l’unico senatore repubblicano a dover affrontare la rielezione in uno Stato vinto da Hillary Clinton nel 2016. L’Obamacare si è rivelato particolarmente popolare in Nevada: 20 mila cittadini dello Stato, grazie all’allargamento del Medicaid, hanno per la prima volta goduto di qualche forma di assistenza sanitaria. Comprensibile quindi l’avversione di Heller per una riforma che rischia, con quasi assoluta certezza, di fargli perdere il posto nel 2018: “Molto semplicemente, non voterò la legge in questa forma”, ha detto Heller. Il suo no va ad aggiungersi a distinguo, critiche, giudizi negativi della compagine repubblicana. Sono quindi almeno nove i voti in bilico, che Mitch McConnell deve assolutamente recuperare per arrivare all’obiettivo cercato da anni: cancellare l’Obamacare.

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