Un anno dopo, è tempo di un primo bilancio per la campagna #StopTheTrucks, promossa da Eurogroup for Animals, nota associazione nata a Bruxelles nel 1980. Un milione le firme raccolte fin qui per domandare la riduzione e infine la cessazione dei trasporti su lunga distanza di animali vivi. L’iniziativa invoca l’adozione di un tempo massimo di viaggio nel regolamento sul trasporto europeo, e la sostituzione del trasporto degli animali vivi con il commercio di carne e carcasse.

Ogni anno almeno un miliardo di polli e 37 milioni di bovini, maiali, pecore, capre e cavalli vengono trasportati mentre sono ancora in vita, attraverso l’Unione europea e verso Paesi terzi. Ma l’Ue non intende emendare le leggi già esistenti in materia, lacunose e anacronistiche – secondo gli artefici di #StopTheTrucks – visto che non garantirebbero nessuna protezione reale agli animali, che spesso si ammalano o muoiono durante il viaggio. Dichiara Reineke Hameleers, direttore dell’associazione: “L’Unione europea non può più ignorare il milione di firme di chi vuole porre fine alle sofferenze e ai dolori evitabili degli animali trasportati vivi. Attualmente il Regolamento europeo sul trasporto compromette il benessere animale. È giunto il momento che la Commissione vi ponga rimedio”.

#StopTheTrucks fu lanciata nella primavera del 2016 in seguito alla pubblicazione dell’indagine Eurobarometro sul Benessere Animale, condotto dalla stessa Commissione europea, che ha svelato come il 94% dei cittadini del Vecchio continente ritenga che proteggere il benessere degli animali da allevamento sia importante. Inoltre, il 64% degli intervistati vorrebbe ricevere più informazioni sul trattamento degli animali nella loro nazione; 9 su 10 sostengono che i prodotti importati dovrebbero rispettare le leggi europee sul benessere degli animali; l’89% pensa che la legislazione europea dovrebbe obbligare le persone ad aver cura degli animali usati per fini commerciali; la metà osserva con attenzione le etichette per identificare i prodotti con maggiori standard di benessere animale; il 59% è disposto a pagare di più per merci migliori. Numeri importanti e forse inattesi, in controtendenza rispetto agli standard normativi tuttora in vigore in Europa.

Sulla scia dell’Eurobarometro 2016, CIWF Italia – onlus che si batte per migliori condizioni degli animali da allevamento – ha poi realizzato lo spot “Non nel mio piatto”, proiettato in decine di cinema italiani. “La propaganda della grande industria alimentare si guarda bene dal mostrare le reali condizioni di vita degli animali negli allevamenti italiani. Ha creato un immaginario artificiale per poter nascondere le pratiche crudeli d’allevamento come le gabbie, oppure le condizioni vergognose in cui si trovano gli animali negli allevamenti intensivi: stipati in recinti sovraffollati, collocati in edifici sudici, costretti a vivere nella melma, tra i loro stessi escrementi – queste le parole usate da Ciwf nel presentare il progetto – Come le immagini creano un immaginario distorto, anche alcune espressioni come “100% prodotto italiano” e “fatto in Italia” sembrano suggerire che gli allevamenti italiani siano diversi da quelli del resto dell’UE e del mondo. L’italianità come una sorta di garanzia di affidabilità, qualità e benessere animale. Purtroppo un mito tenuto vivo solo dalle apparenze”.

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