Sette giorni per prendere una decisione. Sette giorni per evitare il rischio di portare nel collegio cardinalizio un candidato sui cui pende l’ombra di uno scandalo finanziario.

Il 2017 per papa Francesco non è solo un altro anno di trionfi mediatici, ma anche un anno di spine. A marzo scorso Mary Collins, la cattolica irlandese (vittima di violenza sessuale da parte di un prete) che faceva parte dal 2014 della Commissione per la protezione dei minori, ha lasciato l’organismo vaticano denunciando la “vergognosa” mancanza di cooperazione del “dicastero coinvolto più da vicino nell’affrontare i casi di abuso”: cioè la Congregazione per la Dottrina della fede.

In queste ore sta esplodendo la vicenda del primo Revisore generale dei conti del Vaticano, Libero Milone – esperto finanziario di esperienza internazionale, ex presidente ed ex amministratore delegato della società Deloitte – che si è dimesso con largo anticipo per essersi scontrato con l’Apsa, l’ “Amministrazione Patrimonio Sede Apostolica”, già finita nel mirino all’epoca di Vatileaks2. Nel 2015, infatti, l’agenzia Reuters aveva pubblicato la notizia che – contrariamente ad ogni logica e regola – il finanziere Giampietro Nattino possedeva conti cifrati presso l’Apsa e se n’era servito per trasferire due milioni di euro in Svizzera.

Ora si profila all’orizzonte un altro incidente, che investe le scelte dirette del Papa. Il mese scorso Francesco ha annunciato la creazione di cinque nuovi cardinali. Fra i prescelti l’arcivescovo di Bamako, Jean Zerbo, personalità conosciuta per il suo impegno per portare la pace in una paese straziato da una guerra civile e dalle violenze dei terroristi jihadisti.

La gioia per il suo ingresso nel collegio cardinalizio è stata però turbata dalla pubblicazione su Le Monde di un’inchiesta approfondita da cui risulta l’esistenza nella banca svizzera HSBC Private Bank a Ginevra di fondi per 12 milioni di euro suddivisi in vari conti correnti, i cui codici di accesso sono nelle mani dell’arcivescovo Jean Zerbo. I media ne hanno riferito il 1 giugno e l’episcopato del Mali ha reagito con un comunicato, pubblicato dall’agenzia cattolica Fides, per ribadire che la “Conferenza episcopale del Mali opera nella trasparenza totale. Dispone di statuti, di un regolamento interno e di un manuale di procedure che stabiliscono le funzioni di ciascuno Vescovo (…). Nessun Vescovo agisce a titolo personale… Tutte le attività sono regolarmente esaminate”.

Storia finita? Tutt’altro.

Intanto c’è da registrare che Francesco, che ignorava tutto, “non ha preso bene la cosa” come sottolinea un esponente vaticano regolarmente in contatto con il pontefice e la Segreteria di Stato. Troppi interrogativi rimangono aperti e nelle questioni di soldi né il Vaticano né le Chiese locali si possono permettere di fare spallucce come se rivelazioni documentate da parte della stampa fossero esercizio di gossip.

A una settimana dalla solenne cerimonia, durante la quale Zerbo dovrebbe ricevere dalle mani del Papa la berretta color porpora, dal Vaticano non è giunto nessun chiarimento definitivo. E i punti oscuri sono parecchi. A partire dal fatto che se una Chiesa locale, in uno scenario di guerra, sente la necessità di mettere al sicuro i propri fondi, c’è un’istituzione apposita: l’Istituto per le opere di religione.

1. Perché agli autori dell’inchiesta di Le Monde l’arcivescovo Zerbo risponde prima “Io un conto in Svizzera? Dunque sono ricco a mia insaputa” e poi “E’ un conto vecchio… un sistema che abbiamo ereditato dall’Ordine dei Missionari d’Africa”? Monsignor Zerbo né allora né successivamente ha fornito informazioni precise.
2. Nell’anno 2007 (ultima data della documentazione HSBC Private Bank) i 12 milioni, suddivisi in vari conti intestati alla Conferenza episcopale del Mali, sono accessibili a tre persone: mons. Zerbo, all’epoca incaricato delle finanze della Conferenza episcopale del Mali, monsignor Jean-Gabriel Diarra, vescovo di San, e Cyprien Dakouo, l’allora segretario generale dell’episcopato del Mali. Da dove vengono questi fondi, tenuto conto che il Mali è un paese estremamente povero di 17 milioni di abitanti con una minuscola presenza cattolica?
3. Nel 2012 Dakouo lascia il suo incarico, sparisce dal Mali e attualmente si trova a in Francia a Lione per preparare una tesi in economia. Dakouo è ancora abilitato ad accedere ai conti correnti svizzeri con delega di firma?
4. Perché l’attuale responsabile delle finanze dell’episcopato del Mali, don Noel Somboro, non sa nulla di questi conti? Somboro dichiara: “E’ possibile che siano esistiti, ma non ne ho traccia”.
5. Infine l’ultimo grande e grave interrogativo. Questi 12 milioni di euro dove sono finiti? In quale banca sono oggi? Perché l’episcopato del Mali non è in grado o non vuole chiarire la loro destinazione, visto che sostiene l’esistenza di “regole precise”?

A rendere più inquietante lo scenario, la notizia – riferita dall’agenzia Adista – che i due autori dell’inchiesta David Dembélé e Aboubacar Dicko, dopo un susseguirsi di violenti minacce anonime al telefono e sul web, sono stati posti sotto protezione della polizia del Mali.

Il 28 giugno si svolgerà in San Pietro la cerimonia fastosa per la creazione dei nuovi cardinali. A tutt’oggi in Vaticano si prevede che monsignor Zerbo riceverà la berretta e che non ci sarà un rinvio. Ma l’entourage del pontefice non dovrebbe sottovalutare la vicenda. Trasparenza è una delle parole chiave dell’attuale pontificato. L’affaire non riguarda più una lontana Chiesa locale, ma il “Senato della Chiesa”. E non va mai dimenticato che la folla mediatica è come la plebe romana al Colosseo. Un giorno si esalta per la scomunica ai corrotti, il giorno dopo è pronta a urlare “ad leones”.

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