Il sudafricano The Wound ha vinto il premio principale al festival del cinema omosessuale di Torino fondato da Giovanni Minerba. Per la prima volta si chiama Lovers (per esteso è Lovers Film Festival Torino Lgbtqi visions) ma è la trentaduesima edizione del festival a tematica gay lesbica più antico e forte d’Italia. Per la prima volta a dirigerlo non è un o una omosessuale, ma la giovane regista torinese Irene Dioniso: “Devo rispondere che sono etero se me lo chiedono, ma non ne faccio un tratto distintivo”. Titolo dell’ edizione è stato Queering the Borders, un’espressione straordinaria, sul cui significato si innesca il nostro dialogo con Irene Dioniso.

Che vuol dire Queering the Borders?
Potrebbe tradursi così: mandare all’aria i confini con gioia e gayezza. È una espressione che qualcuno ha usato nell’ambiente accademico militante e che con questo Festival abbiamo popolarizzato. Letteralmente si potrebbe dire ‘frocizzando i confini’

Quali confini?
Avevamo in mente i muri del pregiudizio, come quello omofobico, il tema principale del Festival

Ma anche i confini nazionali. A proposito, cosa pensa dello ius soli la prima nuova direttrice del Festival dopo Minerba, la prima dell’era Appendino?
Capisco i sottintesi della domanda ma ne approfitto per chiarire. Sono stata indicata e proposta congiuntamente dall’assessora alla cultura della Regione e dalla nuova amministrazione comunale. E io non sono né Pd né 5 stelle, anzi ho sempre votato Sel. Nello specifico sono assolutamente contraria a ciò che dice Grillo sullo ius soli! E un Festival così, e l’idea di Queering the borders sono il contrario di ogni chiusura nazionalista

Lovers vuol dire che è un po’ meno strettamente gay il Festival?
Abbiamo proposto 83 film tutti e 83 a tematica lgbt e abbiamo collaborato con 40 realtà lgbt. E per la prima volta quest’anno abbiamo creato il premio per una sceneggiatura italiana a tematica omosessuale

Il primo premio, quello del concorso internazionale lungometraggi, è andato The Wound del regista sudafricano John Trengove. Nel rito ancestrale di una circoncisione sulle montagne della zona del Capo, in un ambiente di mascolinità esibita e sentimenti tenuti clandestini, assistiamo a una sorta di Brokeback Mountain nero. Il premio del concorso internazionale documentari è andato al taiwanese Small Talk di Huichen Huang, che scava i silenzi nella vita della madre. Menzione ai gay siriani ritratti nella loro vita provvisoria a Istanbul (Mr Gay Siria). Il concorso cortometraggi è stato vinto dallo svizzero Millimeterle, “tormenti dell’adolescenza nel buio confuso di una piscina”.

Tra i film non in concorso forse la maggiore attenzione è andata all’islandese Heartstone che ha vinto il Festival Mix a Milano dov’era in concorso. Un dramma nordico sulle scoperte e i conflitti dell’adolescenza in un contesto naturale superbo. L’idea di fondo che emerge da tutte queste storie è che le questioni lgbt non si esauriranno mai, anche in un mondo più aperto alla diversità. E per stare al tema del cinema, l’idea è che ci sarà sempre spazio per rassegne dedicate a produzioni che quasi mai arrivano al grande schermo.

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