Le manovre per il salvataggio di Alitalia sembrano più una anticipata candidatura di Gubitosi a quel che sarà del vettore un domani, che un rilancio dell’inguaiatissima compagnia di bandiera. L’ultima cosa di cui sembra preoccuparsi la troika Luigi Gubitosi, Stefano Paleari e Enrico Laghi è quanto costa questa operazione di salvataggio per la (speriamo) futura vendita di Alitalia. La pubblicità radiotelevisiva di questi giorni (esistiamo ancora) e gli annunci dell’imminente apertura di nuove rotte profittevoli (forse) per le Indie e Maldive, sembrano più parlare al futuro compratore che si vuole unico che ai consumatori.

La troika ci dovrebbe spiegare sulla base di un’analisi economico/finanziaria perché la somma degli asset venduti separatamente non può dare quella dell’asset Alitalia venduto in blocco. E’ paradossale che il Commissario Gubitosi si lamenti con lo Stato italiano che non tutelerebbe a sufficienza la compagnia di bandiera, visto che ha dovuto cambiare in corsa il suo statuto, perché altrimenti non avrebbe potuto partecipare dei sussidi di comarketing degli scali calabresi. Risultato, scali nazionali che sussidiano le compagnie aeree e Alitalia sussidiata. Quindi  il comparto del trasporto aereo produce meno ricchezza di tutti gli altri Paesi europei. Gubitosi non ricorda che Alitalia non sta pagando molti aeroporti creditori e che in base all’articolo 802 del Codice di navigazione chi non paga le gestioni aeroportuali si vede ritirare la licenza di volo o bloccare gli aerei a terra.

“Lo Stato non tutela compagnia di Bandiera” avrebbe detto Gubitosi. Mai frase più infelice. Intanto non è più la compagnia di bandiera, almeno dal 2008 era solo italiana “capitani coraggiosi”, poi da quattro anni è di capitale straniero al 49%. Poi i 6 miliardi di costi sostenuti negli ultimi  anni stridono con questa affermazione che raggiunge il suo apice con “dobbiamo attaccare tutti i costi”. E cosa si fa? si allarga e rinnova la cig straordinaria. La cig è nata per sostenere brevi periodi di crisi delle aziende e aiutarle a superare fasi particolari di crisi. L’Alitalia da 10 anni utilizza la cig. E ora ci sarà una nuova ondata di cig per 1358 addetti di lunga durata e così con i soldi dei contribuenti si “attaccano i costi”.

Non solo, è stata anche confermata l’integrazione alla cassa integrazione 1200 euro di assegno mensile, anche l’integrazione del Fondo di Solidarietà del Trasporto Aereo (Festa) che porterà l’indennità per piloti e hostess dai 5 ai 15 mila euro mensili. Indennità percepita dagli addetti già in cig da anni. Inoltre, quanto tempo ci vorrà per rinegoziare gli sfavorevoli contratti di leasing, ridurre i costi del sistema di prenotazione dei biglietti e per modificare i contratti di assicurazione del prezzo del carburante? Forse queste operazioni sarebbe meglio fossero espletate dal o dai futuri compratori.

Se Gubitosi intende risanare la compagnia con i soldi dello Stato lo dica. E il Governo dica se vuole questo. In caso contrario si lasci ai compratori la ristrutturazione dell’azienda o di pezzi di azienda. Anche stavolta prendendo pretesto dalla difesa dell’occupazione e dell’imminente stagione turistica si vuol salvare un’azienda decotta. In nessun Paese europeo si è commesso questo errore e infatti le blasonate compagnie andate in crisi hanno risolto in fretta la loro congiuntura, anche ammainando la bandiera nazionale. Ancora una volta si mescolano politiche industriali con quelle sociali fino al punto di non riconoscere costi e obiettivi della vita di Alitalia. Servirebbe distinguere tra azienda e addetti e adottare ammortizzatori sociali (equi) per lavoratori e non mettere nello stesso calderone addetti e impresa decotta decotta a cui si aggiungono fornitori di servizi e management impreparato.

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