La poesia viene dalla sublimazione di sentimenti prodotti dalla realtà, ma a volte facciamo i conti con la forma modernamente più dura e prosaica: la burocrazia. Ci spostiamo in Inghilterra, Newcastle. In un ufficio di collocamento si incontrano una giovane disoccupata accompagnata dal figlio e un falegname cardiopatico con l’ammonimento del suo medico a non lavorare duramente. Stretti nella morsa di cavilli e papelli che impediscono a entrambi di mettere insieme casa e lavoro, si fanno forza l’un l’altra per sopravvivere allo stato di povertà incombente. In Io, Daniel Blake Ken Loach buca schermo e coscienze con attori che tolgono il fiato. Si apre con amarezza il vaso di Pandora sul contorto assistenzialismo inglese di oggi, l’altra faccia dell’Inghilterra vincente e spaccona che snobba l’Europa. Ma la speranza non muore, si eleva a lotta personale. Lo sceneggiatore Paul Laverty ha sintetizzato così le origini del progetto: “La fonte d’ispirazione per questa storia è la telefonata di Ken che mi chiese di andare con lui a visitare Nuneaton, luogo in cui è cresciuto. Ken è a stretto contatto con un’organizzazione a scopo benefico per i senzatetto. Abbiamo conosciuto operatori sociali fantastici che ci hanno presentato alcuni dei giovani con cui lavorano. Un ragazzo da loro aiutato ci ha raccontato la sua storia. La cosa che ci ha colpito di più? Leggerezza e casualità con cui ci raccontava della nausea e del mal di testa da fame che lo assalivano mentre provava a lavorare. Come sempre, contratti zero ore e lavoro precario su base ad hoc”.

In comune ci sono sentimenti contrastanti e una realtà avversa, segreti o esibiti, legati alla politica o al lavoro. Il filo della poesia corre, si contagia col reale, si spezza e irrora i pori di quella terra di mezzo. Ma restano uomini e storie come sedimento da un film. Tutti e tre in home video, hanno in comune anche l’avarizia di contenuti extra. Nel caso di autori attenti alla privacy da set è comprensibile. Quando l’arte ha un prezzo, va così.

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Pablo Larraín, Ken Loach e Jim Jarmusch: il cinema d’autore tra storia, prosa e poesia

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