La giornata di ieri non ha visto celebrarsi unicamente il rito elettorale delle amministrative in Italia. Mentre da noi, in più di mille comuni, si cominciavano a scegliere sindaci e consiglieri, in Francia si è tenuto il primo turno delle Legislative per il rinnovo dei membri dell’Assemblea nazionale. Nonostante ci sia ancora da aspettare il secondo tempo (previsto il 18 giugno) per capire chi sarà eletto e chi no, alcuni elementi sono già certi: il movimento del presidente Emmanuel Macron, La République En Marche, fa bottino pieno e lunedì prossimo, secondo le previsioni, potrà godere in Parlamento di una maggioranza bulgara, composta da qualcosa tra 400 e 455 deputati. Una cifra spaventosa, ben al di sopra di quei 289 seggi necessari per conquistare la maggioranza assoluta. Con questi numeri, Macron potrà governare il Paese con relativa tranquillità e avrà ampi margini di manovra, di fatto non dovendo dar conto ad alcuna altra forza partitica minore che gli faccia da stampella.

Niente coalizioni, niente alleanze necessarie, nessuna dipendenza da formazioni più piccole: il sogno di ogni aspirante primo ministro o presidente, non ultima Theresa May, che aveva indetto le elezioni anticipate nel Regno Unito proprio per provare ad ottenere uno scenario simile. Emmanuel Macron ci è riuscito semplicemente lasciando che i tempi e i flussi elettorali facessero il loro corso, ponendo le basi per la creazione di una solida maggioranza e per affrontare i prossimi cinque anni all’Eliseo senza il timore che un manipolo di parlamentari trasformi il processo legislativo in un percorso a ostacoli.

Ma una situazione del genere può davvero essere il migliore degli scenari possibili per il cittadino francese? Sarà anche una frase da manuale di scienza politica, ma ciò non la renderà meno valida o vera: una democrazia sana ha bisogno di opposizioni. Meglio se organizzate, intra-parlamentari. Nelle ultime settimane, e ogniqualvolta si parli di riforme e leggi elettorali, si invoca l’importanza della governabilità e della stabilità; e posso capire che sia importante sapere con certezza chi esca vincitore da un’elezione, ma serve anche avere un contrappeso politico adeguato dall’altra parte della barricata. L’Assemblea nazionale, lunedì prossimo, sarà in larghissima parte popolata da eletti nelle fila di En Marche (e del suo più piccolo alleato MoDem). Cosa ne sarà degli altri?

Guardando agli equilibri che prendono forma dopo questo primo turno, l’impressione è che l’unica voce d’opposizione potrà essere rappresentata dai Républicains di François Baroin, succeduto a Fillon alla guida del partito dopo la sconfitta alle presidenziali. Secondo le stime, la compagine di centrodestra potrebbe ottenere un numero tra 70 e 110 deputati. Certo, non sono cifre entusiasmanti, se paragonate a quelle di En Marche. Completiamo lo schieramento di destra aggiungendo – solo come definizione del campo, non come coalizione – i numeri del Front National, che ha subito un crollo verticale dopo la sconfitta al secondo turno delle presidenziali: scopriamo che, stando alle proiezioni, il partito di Marine Le Pen (saldamente in testa in vista del ballottaggio nella sua circoscrizione di Pas-de-Calais) probabilmente non riuscirà neanche ad eleggere il numero minimo di rappresentanti necessario per costituire un gruppo parlamentare (stime: da 3 a 10; numero minimo necessario: 15). In pratica, la forza politica del candidato che ha raccolto un terzo dei voti complessivi espressi allo showdown delle presidenziali è destinata all’irrilevanza in Parlamento.

Andiamo a vedere cosa succede dal lato opposto dello schieramento. Le Legislative si configurano come il De profundis del Parti Socialiste: pur aumentando la propria percentuale relativa di voti, il centrosinistra ne perde altri 600mila rispetto al primo turno delle presidenziali. Le ultime umiliazioni sono rappresentate dall’esclusione dai ballottaggi nelle rispettive circoscrizioni di Jean-Christophe Cambadélis, segretario generale del partito, e dell’ex-candidato presidente espresso dal Ps, Benoît Hamon. Anche la France Insoumise di Mélenchon non se la cava benissimo, sebbene sia ancora in corsa per eleggere almeno il numero minimo di rappresentanti utile per formare un gruppo parlamentare indipendente.

Per interpretare il voto dei francesi è necessario partire dal dato dell’astensione: 51,29%, la più alta di sempre per le Legislative in tempo di Quinta Repubblica, in linea con la tendenza crescente e costante che vede sempre meno elettori partecipare al rinnovo dei membri dell’Assemblea nazionale dal 2002 a oggi. Il 30% degli astenuti intervistati da un sondaggio Ipsos dichiara di non votare per disaffezione e sfiducia verso i politici, ma è il dato sui giovani a colpire: il 64% di loro ha deciso di non prendere parte a questa tornata, numero che doppia il risultato della stessa rilevazione nella categoria over 60. L’astensione ha poi colpito maggiormente i candidati di France Insoumise e Front National, che hanno visto diminuire il proprio potenziale bacino elettorale rispettivamente del 53% e 57% rispetto alle presidenziali (primo turno per Mélenchon, secondo per Le Pen).


Proprio nel momento in cui sarebbe stato fondamentale capitalizzare i pur buoni risultati ottenuti nella corsa all’Eliseo, la dirompenza delle forze più radicali è stata quasi completamente riassorbita dalla fluidità del grande centro, che supporta e spalleggia Macron da entrambi i lati dello schieramento – rispettivamente, il 64% dell’elettorato di Hamon e il 50% di quello di Fillon sperano che Macron esca dalle Legislative in grado di poter contare su una maggioranza assoluta.

È la fine del dibattito politico in Francia? La situazione potrebbe non essere così catastrofica, ma di certo c’è che le forze d’opposizione, se non adeguatamente rappresentate in Parlamento, troveranno altri modi per farsi sentire. Se già Hollande si è scontrato con parti della società francese su una riforma del lavoro addirittura più blanda di quella che preannuncia Macron, possiamo star certi che il cortocircuito aula-piazze arriverà prima o poi ad esprimersi in tutta la sua forza. E forse, allora ancor più di adesso, strade e classe politica vedranno frapporsi tra loro una distanza difficilmente colmabile.

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