Il pride è quella cosa che sei a casa, fai la doccia, mentre fuori è caldo e ti chiedi come farai a non morire tutte quelle ore sotto il sole. C’è Caterina che prepara i tortelli burro e salvia e aspetti Simone, che si va tutt’insieme. Preparare la borsa col fan brush arcobaleno, che lo sai, poi ti dipingerai ovunque sul corpo, e si è pronte, chiedi chi prende la macchina e poi si va, da qui a Repubblica c’è un po’ di strada da fare, ed è quell’attesa del piacere che è essa stessa piacere. Il pride è rivedere le persone di sempre e quelle che incontri una volta l’anno, come succede per le feste comandate. Come quando vedi Daniela, che viene dalla sua casa di campagna e dalla sua vita fatta di lotte per costruire il suo senso di dignità, profondo e imprescindibile, e quando la abbracci è la vostra consueta dichiarazione d’amore, come sempre quando la tua vita tocca quella degli altri.

Il pride è riconoscersi nello sguardo di uno sconosciuto, regalarsi un sorriso, ballare insieme le canzoni di Cristina D’Avena, sotto il carro del coordinamento, mentre la Karl du Pignè ti regala le sue perle di favolosità – “Siete proprio froci”, ti dice a una certa, con una punta d’orgoglio – e poi mandano Occhi di gatto e mentre facciamo le “pazze sulle terrazze”, io e Cate, pensiamo che solo ai nostri tempi nei testi delle canzoni dei cartoni animati c’erano parole tipo “astuzia” e “perizia“. E allora scusateci per quel vago e leggiadro senso di superiorità, che non conosce boria. Il pride è vedere insieme, nello stesso corteo, gli amici e le amiche della comunità ebraica con la stella di David arcobaleno e, poco più in là, le persone di fede islamica con la scritta Allah loves equality. Perché quando Dio – qualunque sia il nome che ci piace dargli – smette di ascoltare il cuore degli uomini, diventa un dio sempre più cattivo, triste e arrabbiato. Un dio sempre più solo.

Il pride è quando si può ridere e scherzare della morte. Vedere gli idranti sparare nel cielo ed è come in quella canzone di Venditti, quella che dice “guarda, verso il palco c’è l’arcobaleno”. Il pride è marciare con i pompieri, lì insieme a te, perché la società, lo Stato, sono sempre più dalla tua parte. È trovare le foglie d’acero con i colori del rainbow, perché la solidarietà per la fierezza di essere quello/a che sei arriva anche da lontano. Il pride è trovarti accanto i genitori arcobaleno, coi loro bimbi sorridenti e innamorati e capisci che non c’è nessun errore, in quella scelta. In tutte quelle storie che andrebbero solo raccontate e accolte. Il pride è raccogliere, a fine giornata, un bacio che non ti aspetti.

È tornare a casa, aprire Facebook o Google e vedere che tutto ha i tuoi colori. Che abbiamo vinto noi, insomma.

È pride quando capisci che essere nato come sei nato che tu sia gay, trans, lesbica, friendly, o altro, è sempre un dono. Che ogni respiro della tua vita, fino a quel momento ha avuto un senso, grande quanto l’amore che ti accompagna e che non puoi non trovare nei passi di chi ti è accanto. Anche se un po’ ti spiace che non tutti riescano a provare quell’emozione. Che ci sia ancora chi sceglie di non capire. E quindi sapete perché è bello il pride? Perché è una festa che non chiude le porte a nessuno. Perché è un momento politico che ha adottato il linguaggio della gioia. Perché ti fa sentire parte di qualcosa che ti abbraccia senza giudicarti. Perché ti senti a casa. Questo è stato il Roma pride di ieri. E buona festa dell’orgoglio a tutti e a tutte.

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