Negli ultimi tempi viveva in Olanda, ad Aalsmeer, dove gestiva gli interessi illeciti della cosca Commisso di Siderno. Dopo il blitz dell’operazione “Acero-Crupi”, però, Vincenzo Macrì si era trasferito in Sud America. Utilizzando una falsa identità, si era stabilito a Caracas, in Venezuela dove ieri il latitante calabrese di 52 anni stava rientrando dopo un viaggio a San Paolo. La squadra mobile di Reggio Calabria, diretta da Francesco Rattà, lo ha rintracciato all’aeroporto brasiliano. Stava salendo su un aereo quando gli agenti della polizia di stato gli hanno notificato il provvedimento di arresto della Direzione distrettuale antimafia.

Dopo due anni finisce così, da un capo all’altro del mondo, la latitanza di Macrì, importante trafficante di droga della Locride e simbolo, al pari di altri grossi broker della cocaina, di come la ‘ndrangheta è la più grande organizzazione criminale nel settore del narcotraffico internazionale. Una latitanza anche nel pieno rispetto delle sue tradizioni familiari: Calabria, Olanda, Venezuela, Brasile e Canada. Inserito nell’elenco dei ricercati più pericolosi d’Italia, infatti, Vincenzo Macrì è il figlio del boss “dei due mondi” Antonio Macrì, ‘ndranghetista influente addirittura oltreoceano e ucciso nel 1975 all’inizio della prima guerra di mafia.

Tale padre e tale figlio: dalle carte dell’inchiesta “Acero-Crupi”, infatti, è emerso che Vincenzo Macrì era costantemente informato anche delle frizioni in atto tra membri di clan di ‘ndrangheta presenti nell’Ontario, specie a seguito della morte del boss Carmine Verduci, assassinato a Woodbrige, il 25 aprile 2014. Dall’Olanda, inoltre, il latitante aveva voce in capitolo sulle decisioni della famiglia mafiosa nel traffico di cocaina che arrivava in Italia grazie anche alla collaborazione tra il boss e Vincenzo Crupi nella gestione di importanti stabilimenti floro-vivaistici.

Coca e tulipani era il loro business. Assieme a trafficanti come Giuseppe e Salvatore Coluccio, il figlio del boss “dei due mondi” dettava le linee programmatiche dell’associazione, decidendo presso quali canali di approvvigionamento procurarsi la droga e le località in cui consegnare lo stupefacente, nonché le modalità di ripartizione degli utili. Nel giugno del 2014, per esempio, un coindagato di Macrì aveva effettuato un versamento dell’importo di “3.189.592,08 (di danaro di cui si sconosce la valuta) sul circuito Money Gram”.

Somma, che poi è stata ritirata da una donna a Bogotà, e che serviva secondo gli inquirenti ad “attivare canali colombiani al fine di avviare o mantenere il commercio e traffico di sostanze stupefacenti, grazie alla profonda conoscenza da parte di Macrì Vincenzo dell’area geografica e della perfetta copertura fornita dall’attività florovivaistica, dal momento che l’Ecuador è rinomato per la coltivazione e la produzione di rose”.

Vincenzo Macrì ha trascorso un lungo periodo di detenzione, dal 1989 al 2002, negli Stati Uniti. Era stato arrestato dall’Fbi in Wilmington, in Delaware, per traffico di droga e armi. All’epoca era rimasto coinvolto in un’indagine contro Cosa nostra che la Philadelphia Division condusse con agenti undercover (sotto copertura) per traffico di eroina e cocaina trattata da siciliani a New York e in Florida, New Jersey e Pennsylvania. Nel luglio del 1989, scattò il blitz in occasione della consegna di un chilo di eroina nel Delaware. L’indagine si concluse con l’arresto di dodici persone tra cui Vincenzo Macrì. Dopo 28 anni, di cui 13 trascorsi dietro le sbarre statunitensi, la storia si ripete. Questa volta, però, dopo le procedure di estradizione il figlio del boss “dei due mondi” sarà accompagnato in Italia.

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