Il presidente di Amnesty International TurchiaTaner Kilic, è stato fermato martedì 6 giugno a Smirne insieme ad altri 22 avvocati, tutti accusati di far parte del movimento golpista di Fethullah Gülen, l’imam accusato da Recep Tayyip Erdogan di aver ideato il fallito colpo di stato del 15 luglio 2016.  Kilic, fra l’altro, era stato l’avvocato del giornalista Gabriele Del Grande durante la sua detenzione. Nei giorni scorsi sono stati fermati con la stessa accusa anche 47 dipendenti ministeriali. Si inasprisce, intanto, la crisi diplomatica con la Germania: Berlino ha annunciato il ritiro dei suoi soldati dalla base aerea di Incirlik, dopo mesi di braccio di ferro diplomatico fra i due Paesi.

Il mandato emesso nei confronti di Kilic fa riferimento a un’indagine su presunti membri della cosiddetta “organizzazione terroristica di Fethullah Gülen” ma non è neanche chiaro se Kilic sia sospettato di avere tali legami. Al momento il suo fermo non pare collegato avere per obiettivo l’associazione umanitaria: il presidente dell’associazione è stato fermato nella sua abitazione alle 6.30 del mattino, sia la casa che lo studio sono stati perquisiti. Attualmente si trova in una stazione di polizia del quartiere di Yesilyurt.

Kilic ha fatto parte del direttivo di Amnesty International Turchia a partire dal 2002 ed è stato eletto presidente nel 2014. “Il fatto che la purga successiva al tentato colpo di stato abbia raggiunto persino il presidente di Amnesty dimostra fino a che punto il governo turco sia arrivato”, ha dichiarato Salil Shetty, segretario generale dell’organizzazione. “In assenza di ogni credibile e ammissibile prova del loro coinvolgimento in reati riconosciuti dal diritto internazionale, chiediamo alle autorità turche di rilasciare immediatamente Kilic e gli altri 22 avvocati e di annullare ogni accusa nei loro confronti”, ha aggiunto Shetty, che ha lanciato un appello anche via Twitter.

A quasi un anno di distanza dal tentato colpo di stato gli arresti continuano, colpendo anche gli ambienti ministeriali: il 6 giugno il procuratore capo di Ankara ha spiccato anche i mandati d’arresto per 47 funzionari governativi30 del ministero dell’Istruzione e 17 di quello dei Trasporti, accusati di legami con la rete dell’imam Fetullah Gulen, secondo quanto riportato dall’agenzia di stampa Anadolu. Il giorno prima il ministero dell’Interno aveva emesso un ordine di revoca della cittadinanza nei confronti di 130 ricercati se non si costituiranno entro 3 mesi: tra questi anche l’imam accusato di essere la mente dietro al golpe.

Il ministro della Giustizia di Ankara, Bekir Bozdag, dichiara che la perdita della cittadinanza non costituisce un ostacolo alla sua estradizione in Turchia dagli Usa, dove Gulen è in esilio volontario dal 1999. Le purghe hanno causato l’incarcerazione di decine di migliaia di persone (di cui non esiste una stima certa) tra cui avvocati, professori, agenti di borsa e giornalisti, fra cui il capo del sito web di opposizione Cumhuriyet. A fine aprile, in un’unica retata, furono arrestate mille persone in 72 province.

Nel frattempo arriva la decisione della Germania di ritirare il proprio contingente dalla base di Incirlik: da mesi i rapporti diplomatici tra i due Paesi erano tesi. Ankara aveva infatti negato l’autorizzazione di deputati del Bundestag, la Camera dei deputati tedesca, di far visita ai militari tedeschi di stanza da anni nella base aerea di Incirlik. Una decisione bollata come “inaccettabile” da Berlino, che infatti oggi ha annunciato il ritiro dei suoi uomini dalla base turca, considerata strategica per la sua posizione nella lotta contro il Califfato Islamico.

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