Donald Trump chiese al capo dell’Fbi di abbandonare l’indagine sull’ex consigliere di sicurezza nazionale Michael Flynn, coinvolto nel Russiagate. Il presidente Usa, del resto, ha descritto le indagini sulla Russia come un’ombra che comprometteva la sua capacità di agire per il Paese.  E voleva fosse reso pubblico il fatto che lui non era oggetto dell’inchiesta sul Russiagate. E’ quanto dirà giovedì l’ex direttore del bureau James Comey, licenziato da Trump il 9 maggio scorso, nella testimonianza che terrà – sotto giuramento – davanti alla commissione Intelligence del Senato e che è stata pubblicata mercoledì (LEGGI QUI IL TESTO INTEGRALE).

Su Flynn, Comey che ufficializza così le indiscrezioni delle scorse settimane, riferisce che il presidente gli chiese di “lasciarlo andare” perché “è un bravo ragazzo”, aggiungendo di aver bisogno di lealtà: “Mi aspetto lealtà”, gli disse, nell’incontro del 14 febbraio alla Casa Bianca.  Comey sottolinea di aver detto a Trump di non poter essere “affidabile nel modo in cui i politici usano la parola, ma che avrebbe sempre potuto contare su di me nel dirgli la verità”, aggiungendo: “Non sono dalla parte di nessuno politicamente”. Sempre secondo la dichiarazione, durante una cena a due il 27 gennaio Trump avrebbe chiesto a Comey se intendeva restare alla direzione dell’Fbi. Comey sottolinea che trovava la richiesta strana in quanto “già in due precedenti conversazioni mi aveva detto che sperava io rimanessi e io gli avevo assicurato che intendevo rimanere“.

Michael Rogers, capo della National Security Agency (Nsa), e Dan Coates, direttore nazionale dell’intelligence Usa (Dni) che sono stati ascoltati mercoledì, non hanno invece confermato le notizie secondo le quali avrebbero ricevuto pressioni da Trump in merito alle indagini sulle interferenze russe nelle elezioni americane. Durante l’audizione hanno sostenuto di non essere mai stati sotto pressione, affermando però di non voler parlare pubblicamente delle conversazioni private avute con il presidente. Secondo l’ultima rivelazione del Washington Post sul Russiagate, il presidente Trump fece pressioni su Coats perché intervenisse su Comey. “Non ho mai ricevuto pressioni, né mi sono mai sentito sotto pressione per interferire o intervenire politicamente sull’intelligence”, ha detto Coats. Dello stesso tenore la deposizione di Rogers, il quale ha sostenuto che nei suoi tre anni come capo della Nsa non è mai stato portato a fare qualsiasi cosa che ritenesse minimamente illegale, immorale o non etica.

Il senatore repubblicano dell’Arizona John McCain è stato tra i primi a reagire alla deposizione di Comey, descrivendola “inquietante”. Le implicazioni, del resto, sono note: se fosse confermata l’intenzione di Trump influenzare un’indagine, il presidente Usa potrebbe essere accusato di “ostruzione della giustizia”, con possibili conseguenze che vanno dalla censura da parte del Congresso alla richiesta di impeachment. Il diretto interessato dal canto suo al suo ritorno alla Casa Bianca dopo l’intervento in Ohio ha ignorato le domande dei reporter sulle dichiarazioni di Comey. Non così la vice portavoce della Casa Bianca Sarah Sanders: “Non so se il presidente Trump ha avuto modo di esaminarla in dettaglio – ha detto -, ma trovo che il tempismo della diffusione” della deposizione “sia abbastanza interessante, subito dopo l’audizione di oggi” dei capi dell’intelligence Usa al Senato.

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