Il giorno dopo la strage, a Borough Market si lava via il sangue. Un silenzio surreale domina la zona a sud del Tamigi, dove sugli edifici di mattone marrone torreggia lo Shard, il grattacielo a piramide di vetro ed acciaio disegnato da Renzo Piano. Una zona viva e piena di gente, tutti i giorni e a tutte le ore, uno dei centri della movida londinese, con nel cuore un grande mercato al chiuso dove si trova ogni tipo di cibo. Oggi il mercato – come riporta l’Ansa in un reportage da Londra – resta chiuso dopo l’orrore di ieri, come bloccata è l’intera zona, presidiata in massa dalla polizia che lascia avvicinare alle transenne, davanti a cui si assiepano troupe televisive di tutto il mondo, soltanto chi – e sono in tanti – vuole lasciare dei fiori in memoria delle vittime.

Off limits, con gli autobus a due piani fermi lì da ieri sera, è pure il London Bridge, il ponte da cui gli attentatori sono passati iniziando la loro missione di morte. E sbarrati tutti i negozi della zona, tranne alcuni supermercati che distribuiscono gratuitamente acqua e generi di conforto ai poliziotti in servizio. Agenti a cui la gente non ha fatto mancare espressioni di gratitudine. “Sono arrivati subito, se non fossero stati così veloci chissà quanti altri morti staremmo piangendo ora”, dice Tricia, un’anziana commessa di Sainsbury’s che si accinge a portare cioccolatini alla scientifica che conduce i rilievi. Non si può passare neppure dagli accessi verso il lungo Tamigi, ogni domenica presi d’assalto da turisti e londinesi. E se in giro la gente non manca, l’atmosfera non è quella “careless” di sempre.

Il cuore della strage è Stoney Street, una strada stretta tra il mercato e il fiume, dove si affacciano pub e localini. Ora qualcuno la chiama la “strada della morte”, perché qui gli attentatori si sono ferocemente scagliati con le loro lame sugli avventori del ‘Black and Blue’, del ‘Pastor’ e di altri ristoranti: menando fendenti “da parte di Allah” su gente tranquilla che si stava godendo, con in mano un bicchiere di birra, la libertà di un sabato sera d’estate. “Adesso hanno pulito. Ma fino a stamattina era pieno di sangue. Sangue dappertutto. E scarpe, vestiti, un casino allucinante”, racconta all’Ansa Philip, uno studente di 21 anni. “Dentro i pub e nei ristoranti la polizia continua a fare rilievi, ma almeno la strada l’hanno pulita”, aggiunge mentre infila una porta del campus del Kings College sopra cui una targa ricorda che qui visse durante la guerra il filosofo e matematico viennese Ludwig Wittgenstein.

Il silenzio, nelle aree isolate, fa impressione. Rotto solo da qualche elicottero e dai motoscafi della polizia che sfrecciano sul Tamigi. La scientifica, con addosso le tute bianche sterili, fa avanti e indietro sulla strada. E la paura si sente. “Abbiamo paura, ora l’abbiamo davvero. Sai quando hai la sensazione di esser sotto attacco?”, ammette Sheila, una ragazza di 20 anni dai tratti orientali che lavora in una farmacia all’angolo di Stoney Street. I musulmani si sentono un po’ sotto pressione, e fanno a gara a parlare con i cronisti e ribadire che la grande comunità islamica londinese non vuole la violenza, la condanna. Mentre sui luoghi dell’attentato arriva anche il sottosegretario italiano agli Esteri Enzo Amendola, che giusto ieri aveva reso omaggio alle vittime dell’eccidio di Manchester del 22 maggio. “La mia presenza – sottolinea – conferma la grande amicizia che lega l’Italia al popolo britannico”.

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