Da settimane i quotidiani Usa e Uk raccontano dei civili uccisi in Siria e Iraq dalla coalizione anti-Isis guidata dagli Stati Uniti. I morti, dall’inizio della campagna contro il terrorismo del Califfato nell’agosto 2014, sono stati 484 di cui 332 tra marzo ed aprile di quest’anno. Dati che emergono dal rapporto mensile della stessa coalizione. Segno di una recrudescenza dei raid da quando alla Casa Bianca si è insediato Donald Trump. Dal dato della coalizione, più basso rispetto alle stime delle organizzazioni non governative come AirWars, emerge comunque che rispetto all’ultimo rapporto diffuso il 30 aprile ci sono 132 vittime civili in più

L’ultimo episodio solo qualche giorno fa: il 26 maggio almeno 106 persone, di cui 42 bambini, sono state uccise in due raid compiuti sulla città di Mayadin, nel sud-est siriano. E il giorno prima il Pentagono aveva ammesso che 105 persone erano morte in Iraq nel marzo scorso quando aerei della Coalizione internazionale a guida Usa avevano colpito un edificio affollato di civili in un’area di Mosul ovest ancora occupata dallo Stato islamico e su cui da mesi è in atto un’offensiva. Le autorità militari americane hanno affermato che l’attacco era stato compiuto contro due cecchini dell’Isis che si nascondevano nell’edificio e che la maggior parte delle vittime sono state provocate dall’esplosione di un deposito di armi dei jihadisti dello Stato islamico. Circostanze che sono invece state smentite da diversi testimoni interrogati dall’agenzia Ap.

Un crescendo inarrestabile quello delle vittime civili da spingere l’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani, Zeid Ràad Al Hussein, a intervenire per esortare le forze aeree di “tutti i Paesi che operano in Siria a meglio distinguere tra obiettivi militari legittimi e i civili”. Al Hussein ha denunciato le “insufficienti precauzioni” che a suo avviso sono prese nel compiere gli attacchi aerei. Fonti militari americane avevano invece quantificato alla fine di aprile in 396 il totale dei civili morti nei raid in Siria e Iraq a partire dal 2014. Ma la televisione panaraba Al Jazira citando l’ong Airwar, con sede a Londra, secondo la quale il bilancio è dieci volte più alto.

La coalizione, da quanto riferisce Reuters, ha negato di aver abbassato gli standard di sicurezza utilizzati per difendere i civili durante gli attacchi per la liberazione delle zone controllate dall’Isis e ha giustificato l’aumento dei morti con l’intensificarsi delle operazioni condotte su territori densamente abitati, e quindi a maggior rischio per i civili. Una versione opposta rispetto a quella di alcune organizzazioni non governative come AirWars, osservatorio sulle operazioni militari in Siria e Iraq guidato da un gruppo di giornalisti. Per AirWars sarebbe da rivedere al rialzo anche il numero di vittime dichiarato dal Pentagono. Per la Difesa Usa si tratta di 484 in tre anni, per l’ong almeno 3817.

Secondo l’osservatorio solo ad aprile sarebbero morte tra le 283 e le 366 persone nei territori in cui si sta combattendo. “Con il terzo mese consecutivo di attacchi aerei sotto la presidenza Trump, stiamo ora vedendo l’emergere di tendenze chiare – ha affermato Chris Woods direttore di AirWars – intorno a Raqqa in particolare, dove la maggior parte degli attacchi aerei sono degli Stati Uniti, si osservano le perdite maggiori di civili. Numeri che fino a sei mesi fa non ci saremmo mai immaginati. Questo è la prova più chiara che le protezioni per i civili sul campo di battaglia sembrano essere state ridimensionate, con l’inevitabile conseguenza di un aumento nel numero di morti e feriti”. “Dal momento che la battaglia si avvicina, siamo estremamente preoccupati per la sorte di centinaia di migliaia di civili ancora intrappolati all’interno della città”, conclude Woods.

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