Sto leggendo un libro, davvero gustoso: Vangelo di malavita del giovane Claudio Metallo. Ve lo raccomando caldamente per il suo stile brioso, che sposa mirabilmente lingua italiana e dialetto calabrese, e per il pregio documentaristico di raccontare dall’interno fatti veri e ambienti reali. In tal modo, unisce l’utile della conoscenza al dilettevole che deriva dalla lettura di storie “da film”, scritte con linguaggio conciso e immaginoso, e con un invidiabile senso dell’umorismo.

Il contesto è quello della Calabria, regione vessata non solo dalla ‘ndrangheta, quanto dal ceto politico che vi prospera e dai vari ausiliari, professionisti e presunti tali, che dal rapporto con i boss e i loro gregari traggono sostanziosi guadagni. Mi riferisco in particolare, scusate la deformazione professionale, ai legali: figure tristemente note alle cronache locali e nazionali per sapere approfittare di ogni spazio interno all’ordinamento per impedire alla legge di fare il suo corso. Tra i personaggi del divertente romanzo c’è l’avvocato Autolitano, che ha per motto: “La legge è come la minchia: alcune volte si allunga e altre si accorcia”. Ma ancora di più e peggio, ovviamente, i politici: per conoscere i loro nomi e le malefatte basta scorrere un quotidiano, possibilmente il meno asservito possibile a lor signori.

Pur solidamente agganciata e riverita dalla classe politica nazionale e locale, del resto, la ndrangheta costituisce probabilmente uno dei prodotti italiani di esportazione di maggiore successo e si proietta su scala internazionale, approfittando del clima neoliberista che comporta meno controlli sui traffici e gli scambi, sia di merci che di capitali, che di persone (salvo ovviamente per i poveri migranti, a loro volta fonte di lauti profitti, come dimostrato recentemente dalle vicende dei Cara). Colpiscono, al riguardo, varie circostanze. Ad esempio, quella che un politico sedicente integerrimo e sicuramente settentrionale, come Giovanardi, sia stato beccato a patrocinare in modo addirittura esagerato taluni imprenditori vicini alla ‘ndrangheta. Per altri versi, l’ostinata lotta che lo stesso Giovanardi ha condotto e conduce contro la liberalizzazione delle droghe leggere ha determinato il mantenimento di un protezionismo da cui gli stessi clan, in primo del luogo della ‘ndrangheta, oramai insuperabili nel traffico internazionale di cocaina e altre droghe, traggono lauti profitti.

Come che sia, l’anniversario dell’uccisione di Falcone e Borsellino è passato senza troppi echi e senza troppe riflessioni. Qualche rappresentante istituzionale ha ostentato un ottimismo che sembra troppo di maniera. Non sono mancate interessanti riesumazioni di articoli scritti prima della sua uccisione da insospettabili giornalisti contro Falcone (come questo, uscito all’epoca su Repubblica) , che oggi è utile rileggere soprattutto al fine di evitare il riproporsi di atteggiamenti sbagliati e deleteri. Altri, ma non molti, né sufficientemente ripresi e ascoltati, hanno giustamente messo il dito nella piaga del terzo livello, ovvero dei rapporti tra mafia (in questo caso siciliana ma non solo) e ambienti massonici, servizi, classe dominante interessata anzitutto al mantenimento del suo potere.

La vittoria definitiva contro le mafie dipenderà quindi dal rovesciamento di questa classe dominante, che delle mafie si è sempre avvalsa e sempre continuerà ad avvalersi. Per liquidare davvero la mafia, occorre quindi una democratizzazione integrale che potrà essere fondata solo su ampi e radicali movimenti di base: come già da tempo è stato compreso dalla parte più consapevole e combattiva della gioventù, specie meridionale. Parlando di classe dominante, va sottolineato il già accennato legame fra sviluppo della criminalità organizzata su scala transnazionale e globalizzazione neoliberista, analizzato da Giuseppe Carlo Marino nell’introduzione al libro di Stefano Becucci e Francesco Carchedi sulle Mafie straniere in Italia.

Marino, fra l’altro, ricorda come “già ai primi del millennio, a globalizzazione appena matura, l’economia sommersa (in concreto coincidente con il malaffare internazionale) aveva raggiunto il 20,5% del Pil globale, circa 1,5 milioni di miliardi di dollari”. Un fiume di denaro, oggi ancora più enorme e irresistibile, che sta distruggendo il pianeta e la speranza del futuro. Ma guai a non essere consapevoli che mafiosi di ogni etnia, origine e territorio, con tutti i loro rituali di morte, non sono altro che gli esecutori ultimi di un disegno, processo e sistema ben più vasti. Ci avviamo verso un capitalismo globale mafioso? Tema da approfondire, anche al fine di combatterlo adeguatamente, con tutti i mezzi necessari.

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