“Non sono stati gli hacker”, si è affrettato a dichiarare il management di British Airways, riuscendo così a far calare l’interesse sull’increscioso black-out del 27 maggio e a far inabissare la notizia tra le onde del G7 e i flutti delle incessanti breaking news.

I vertici della compagnia aerea non hanno mentito.

Proprio per questo motivo è legittimo chiedersi come un colosso dei trasporti può collezionare ben sei figure barbine di questo genere in meno di un anno.

La disavventura di British Airways non è isolata. Anzi, è in ottima compagnia visto che negli ultimi tempi hanno provato analoghi brividi quattro dei cinque principali vettori aerei americani e più precisamente SouthWest nel giugno 2016, Delta e Jet Blue nel gennaio scorso, e poi United nel mese di febbraio.

E’ una storia che trova radice nella forsennata corsa a risparmiare sui costi aziendali e non in rocambolesche azioni di arditi pirati informatici.

In poche parole, ammutinamento e non arrembaggio.

La circostanza, quindi, anziché meritare un downsizing del ranking (o più semplicemente la drastica riduzione del punteggio nella classifica delle notizie più interessanti) dovrebbe calamitare l’attenzione anche di chi non si appassiona al racconto di sorprendenti hacker.

Quel che è accaduto è un segnale da non sottovalutare: i sistemi informatici sono (e saranno ogni giorno di più) il campo di battaglia su cui le aziende dovranno misurarsi.

Reti e computer sono il bersaglio ideale per criminali hi-tech, vandali digitali e concorrenti sleali. Sono nel mirino dei dipendenti infedeli e di quelli sottopagati.

Parliamo di questi ultimi.

La riduzione dei costi IT è uno dei capisaldi della spending review dei bilanci d’impresa. E’ facile da perseguire perché l’esubero di risorse nel settore ha innescato competizioni autolesioniste tra chi offre prodotti e soprattutto servizi, perché ci si può rivolgere all’estero trovando nei Paesi emergenti “manovalanza” a quotazioni miserrime, perché “che mai potrà succedere?!?”…

Così facendo la parsimoniosa gestione delle risorse informatiche rende fragili le procedure e le economie ottenute manifestano sempre qualche controindicazione. La qualità del software applicativo, le prestazioni, la sicurezza e ogni altro parametro di valutazione sono dannatamente proporzionali a quanto poco si è sborsato convinti di agire nell’interesse dell’azienda.

La compagnia aerea britannica ha scelto di affidare in outsourcing la propria architettura informatica, individuando in India e in Polonia i suoi fornitori ideali. Il risultato è finito sotto gli occhi del mondo intero. L’onere dei risarcimenti – inevitabilmente dovuti ai viaggiatori – e l’inestimabile danno di immagine non saranno ammortizzati dal minor costo sostenuto nel settore IT.

I tagli in questione si riverberano sull’intera catena produttiva, tradizionalmente composta da una matrioska di subforniture all’infinito ribasso. Un coraggioso giornalista inglese, Simon Sharrow, sulle pagine web di The Register da tempo ha invitato subappaltatori e clienti di IBM a segnalare situazioni incresciose determinate da queste dinamiche.

Al lavoro fatto male – involontariamente da personale poco preparato o deliberatamente da specialisti mal retribuiti – si vanno ad aggiungere le azioni di sabotaggio e i sempre più frequenti furti di dati commerciali o segreti industriali. Credo ce ne sia abbastanza per riflettere prima di indirizzare la prua verso l’insicuro porto del “tutto a un euro”.

@Umberto_Rapetto

 

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