Il 16 maggio ho partecipato a un’importante manifestazione promossa dalle organizzazioni sindacali con nutrito e combattivo presidio presso Palazzo Vidoni, sede del ministero della Funzione pubblica, con l’obiettivo di ottenere la stabilizzazione delle migliaia di giovani (e meno giovani) che svolgono le funzioni importanti presso gli enti di ricerca. Ottenere un sistema di ricerca valido e performante costituisce com’è noto un indiscutibile interesse della nostra come di altre collettività nazionali, perfino nell’ottica ristretta e tutto sommato riduttiva della “competitività di mercato” (predicata spesso a sproposito da chi invece razzola nella fanghiglia del clientelismo e del capitalismo “di relazione”, celebrando il ruolo socializzante delle partite di calcetto o di altri luoghi meno noti e forse anche meno nobili).

Ma soprattutto, tale sistema deve funzionare al meglio, perché il potenziale aggiuntivo offerto dalla ricerca scientifica e tecnologica costituisce sempre di più un fattore irrinunciabile per migliorare la qualità della vita. Sempre che, beninteso, questo fattore sia ben governato e diretto all’effettivo raggiungimento del bene comune e non, come purtroppo avviene, dirottato da interessi particolari e indirizzato alla fabbricazione di strumenti di morte, ovvero ad aggravare l’inquinamento ambientale e ad alterare gli equilibri climatici.

Proprio per favorire uno svolgimento delle relative attività che sia proficuo, continuo e indirizzato al raggiungimento di obiettivi di interesse comune, abbiamo bisogno di ricercatori e ricercatrici che siano trattati in modo dignitoso e abbiano soprattutto un lavoro sicuro e a tempo indeterminato. Altrimenti, non solo la qualità della loro vita sarà rovinata dall’assenza di sicurezze, ma saranno costantemente soggetti al ricatto di poteri privati o falsamente pubblici.

Chi, come il sottoscritto, svolge funzioni direttive all’interno del sistema di ricerca ha bisogno di collaboratori motivati e tranquilli, che sappiano di poter svolgere il loro ruolo senza patemi d’animo e continue angosce dovute alla precarietà che permea la loro condizione lavorativa e quindi le loro vite. Per tutti questi motivi, oltre che per elementari esigenze di solidarietà umana e di classe (non di categoria), ho portato il mio piccolo contributo alla riuscita della manifestazione di stamattina. Il tema del precariato riguarda del resto tutti i settori e si pone in termini sempre più gravi per le scelte filopadronali e distruttive di tutti i governi recenti.

In questo caso, all’obiettivo di contrastare la precarietà, si unisce quello di impedire la morte della ricerca, che avverrà in mancanza di ulteriori e sostanziosi finanziamenti pubblici, come denuncia la Cgil Ricerca. Negando tali finanziamenti, il governo Gentiloni, come del resto quelli che lo hanno preceduto, si sta assumendo un’ulteriore gravissima responsabilità, contribuendo, per inazione, ignavia o ignoranza, all’ulteriore declassamento della nostra società nazionale, già gravemente colpita da fenomeni di analfabetizzazione di massa (complice il sistema televisivo che si è prontamente adeguato agli avvilenti parametri del berlusconismo), deindustrializzazione e crisi dei momenti di vita associata e dei servizi pubblici, con conseguente penetrazione di ideologie deleterie e antisociali che vanno sradicate, dal neoliberismo esasperato al razzismo, alle culture mafiose di vario genere.

Nonostante tali fenomeni, il sistema ricerca, al pari del resto di altri, continua a resistere e a produrre risultati davvero stupefacenti. Gli eroici precari della ricerca, che lavorano in queste condizioni sfavorevoli, vanno sostenuti senza riserve e inseriti tutti a breve termine nei ruoli, come pure vanno assunti migliaia di giovani. Come può leggersi su una recente petizione ai ministri (in)competenti, sono “13.000 posti a tempo indeterminato persi negli ultimi anni, circa 1.500 pensionamenti annui. È necessario un reclutamento straordinario di 4mila nuovi ricercatori all’anno per i prossimi cinque anni per riportare l’organico delle Università (ma il discorso vale anche, e come, per gli enti di ricerca, nda) a un livello di minima adeguatezza e dare una possibilità di continuare a fare ricerca ai tantissimi precari che sorreggono attualmente le nostre Università”.

Solo scommettendo, ma davvero e non per finta, sulla società della conoscenza, riusciremo a salvare dal degrado la nostra collettività nazionale, dando un contributo significativo al progresso dell’umanità nel suo complesso, cosa che per noi Italiani non rappresenterebbe certo una novità (bisogna dire però che all’epoca non c’erano Renzi, Berlusconi, Gentiloni & co., un motivo di più per sbarazzarcene al più presto).

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