Ferrovie Sud Est deposita il piano concordatario in Tribunale: dietro la parola salvataggio c’è anche dell’altro. Intanto non buone notizie per i fornitori, che otterranno solo il 48,1% del credito e non prima di metà giugno 2019. E poi c’è un affare per Ferrovie dello Stato che ottiene la ferrovia privata più importante d’Italia per la quale ad oggi sta spendendo di tasca propria neppure 70 milioni di euro. L’investimento complessivo è di 410 milioni, ma è finanziato, oltre che con fondi nazionali, anche da quelli regionali e dell’Unione Europea. Questa la strada che si delinea per evitare che Fse fallisca, causa la precedente gestione i cui sprechi sono tuttora oggetto di diverse inchieste giudiziarie e i cui effetti in termini di disservizi sono sotto gli occhi di tutti. Ora il piano dovrà essere analizzato dai Commissari nominati dal Tribunale di Bari.

IL PIANO DEPOSITATO IN TRIBUNALE – Dopo averlo depositato in Tribunale, il piano è stato presentato dal presidente di Fse Luigi Lenci e dall’amministratore delegato Andrea Mentasti. Obiettivo principale il “riequilibrio patrimoniale della società entro il primo semestre del 2018”, la garanzia di una continuità aziendale, la “riorganizzazione e il risanamento delle attività industriali”, oltre al rispetto “delle norme europee in materia di aiuti di Stato, anche alla luce delle segnalazioni pervenute alle competenti autorità della concorrenza”. Nei prossimi cinque anni Ferrovie Sud Est prevede una significativa riduzione dei costi e un aumento dei ricavi in grado di dare stabilità ai risultati di bilancio con un costante miglioramento degli standard delle prestazioni “permettendo di avere maggiori certezze per soddisfare i creditori”.

I FINANZIAMENTI E IL DEBITO DA RECUPERARE – Fse parte da un’esposizione debitoria al 12 gennaio 2017, data di presentazione della domanda di ammissione al concordato preventivo, di 268 milioni di euro, e prevede di offrire ai creditori chirografari, ossia quelli il cui credito non è assistito da alcun tipo di garanzia e verso cui è stato maturato complessivamente un debito di 124 milioni di euro, “il pagamento, entro l’orizzonte di piano, del 48,1% dei rispettivi crediti”. Una percentuale che potrà essere incrementata fino al 65%, ma tutto dipenderà dall’esito delle azioni intraprese nei procedimenti in corso e da eventuali risarcimenti per la gestione precedente. Gestione di cui, quindi, stando alle previsioni faranno le spese soprattutto i fornitori, nella maggior parte dei casi imprese locali. Per quanto riguarda, invece, le risorse da investire per il salvataggio, come annunciato dalla società, sono previsti dal 2017 al 2021 “ulteriori apporti e impegni finanziari fino a un ammontare massimo di circa 150 milioni di euro” da parte del socio unico, ossia FS Italiane.

L’azienda, però, non ha spiegato con quali modalità verrà dato questo apporto. Certo è che Fs ha già erogato 14 milioni per garantire la gestione corrente, a cui andranno aggiunti i quasi 53 milioni annunciati. A questi si sommeranno i 70 milioni del ministero delle Infrastrutture stanziati come contributo straordinario. Eppure, con il concordato si conta di produrre nei prossimi cinque anni un margine operativo lordo di circa 150 milioni di euro, una cifra – soprattutto moltiplicata nel tempo – di gran lunga superiore all’investimento. Quello complessivo, invece, ammonta a 410 milioni di euro, finanziati anche con fondi dell’Unione Europea, regionali e nazionali e prevede, sotto il profilo industriale, il rinnovo della flotta dei treni e degli autobus, con l’acquisto di 11 elettrotreni destinati alla linea Bari – Taranto, la cui elettrificazione sarà completata – promette l’azienda – nel 2018 e, per i servizi su gomma, la sostituzione di 113 mezzi, con autobus più moderni e in grado di offrire prestazioni superiori.

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