Se ancora qualcuno avesse dubbi sulla necessità di essere a Milano domani 20 maggio, si legga la lettera della sindaca di Barcellona, Ada Colau, e l’intervista del sindaco Beppe Sala.

La prima ci dice che “se non ci impegniamo ad aprire la nostra comunità e la nostra società a chi lascia la sua casa e il suo Paese per cercare un’occasione di vita migliore nelle nostre città, i nostri figli, i nostri concittadini ci chiederanno dove eravamo quando in Europa si alzavano muri e barriere contro quelli che fuggivano dalla guerra. Soprattutto ci chiederanno: che cosa avete fatto per evitarlo? Vogliamo accogliere. E vogliamo continuare a farlo. Perché l’appello del popolo dell’accoglienza che ha manifestato a Barcellona e che sfilerà a Milano per un 20 maggio senza muri non lascia spazio a interpretazioni. Non abbiamo scuse per ignorarlo. Anzi, il coraggio, l’entusiasmo e l’apertura che così tante persone hanno dimostrato, dimostrano e dimostreranno ci spinge con forza a intraprendere azioni concrete e politiche”.

Da Barcellona e Milano – aggiunge Ada Colau – può nascere un network internazionale, in grado di indicare ai governi la via migliore da seguire per rispondere ai bisogni dei migranti, riconoscendoli come un’opportunità per la nostra società. Vogliamo accogliere. E vogliamo continuare a farlo. Perché nella gestione dei migranti l’Europa si gioca il proprio futuro e la propria credibilità. Le immagini che abbiamo visto in Italia, in Grecia e in altri Paesi stanno minando il progetto europeo e le sue conquiste; stanno mettendo in dubbio gli stessi principi fondanti dell’Europa”.

Il sindaco di Milano Sala aggiunge al ragionamento meneghina concretezza necessaria a una grande città a vocazione europea: “Avere un’apertura internazionale vuol dire attrarre gli studenti stranieri nelle nostre università e le grandi multinazionali che aprono sedi da noi, ma vuol dire allo stesso modo accogliere chi scappa dalla fame e dalla guerra. Quelle persone che fanno da badanti ai nostri anziani, imbiancano i muri delle nostre case, lavorano negli ospedali e nelle nostre pizzerie: quanta parte dell’economia di Milano è fatta da loro? Quanto saremmo più poveri senza di loro? Altro che alzare muri“.

Le statistiche sulla criminalità ci dicono che legare la questione della sicurezza a quella dell’immigrazione è follia, cecità politica. Una cecità che dice quanto sia caduta in basso la rappresentanza politica – tutta – di questo Paese e non solo, che si ritrova non avendo la più pallida idea sul futuro, a inseguire e a dare risposte a una sensazione diffusa tra la gente che non ha nessun legame con la realtà se non artatamente costruito da una stampa e soprattutto da una televisione irresponsabili e criminali.

Sala, abituato a confrontarsi con la realtà, ci dice che “Mettere in relazione diretta l’immigrazione con la sicurezza è sbagliato, ma aggiungo – e lo dico proprio a chi specula su questi temi – che la sicurezza aumenta anche se, dopo la prima accoglienza, c’è vera integrazione. Per farlo serve prima di tutto accorciare i tempi per la definizione dello status dei rifugiati. Ne sto parlando con il ministro Marco Minniti: non si possono aspettare due o tre anni per vederselo riconoscere, perché nessuno si può integrare se, in un certo senso, non esiste”.

E per chi sa leggere tra le righe delle dichiarazioni politiche questa frase ci dice che lo scontro con Minniti è in atto ed è anche duro. Perché, chiude ogni dubbio Sala: “È quella di sabato prossimo la vera fotografia di Milano, non quella della Centrale”.

Quindi è dovere di tutti far sì che quella fotografia venga nel migliore dei modi. Perché – lo dice Ada Colau, non Majorino o Sala – “Oggi, davanti al pericolo di una Europa – fortezza, come città e come cittadini abbiamo la responsabilità storica di intervenire per cambiare la situazione. Vogliamo accogliere. E vogliamo continuare a farlo con serietà, ma anche con allegria ed entusiasmo. Perché le manifestazioni di Barcellona e di Milano altro non sono che una festa per i cittadini di tutto il mondo, un momento di incontro e di scambio, ricco di musica, colore, gioia e solidarietà”.

E in un Paese in cui il 30 percento della popolazione è a rischio di povertà – non perché ci sia la crisi, ma perché l’Italia è il Paese europeo che meno è in grado di redistribuire le spropositate ricchezze che stanno nelle mani di pochi accumulatori seriali – non veniteci a dire che il problema sono qualche decina di migliaia di immigrati. Il problema siamo noi, che non siamo capaci di vedere che in Italia c’è una mostruosa disuguaglianza, e che non siamo capaci di rivoltarci contro il fatto che poche decine di persone detengono impropriamente più ricchezza di tutti noi messi insieme.

Ci vediamo il 20 maggio a Milano.

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