Televisione

1993, la serie Sky aggiusta il tiro ma il punto debole restano i dialoghi. Paolo Pierobon/Silvio Berlusconi fagocita tutti, protagonista assoluto

“1993” sembra più avvincente di “1992”, va detto, ed è merito soprattutto di un ritmo più incalzante che due anni fa mancava completamente, annoiando a morte lo spettatore nonostante la frenesia e il pathos dell'epoca storica raccontata. Gli sceneggiatori hanno pigiato finalmente il piede sull'acceleratore, e grazie a questo cambio di passo vanno in secondo piano anche i difetti che il prodotto contiene

di Domenico Naso

Nel marzo 2015, quando “1992” aveva esordito su Sky, eravamo rimasti perplessi dalla resa artistica e narrativa di un prodotto che sembrava stereotipato, con la pretesa di voler concentrare troppe storie, troppe vicende (reali o immaginarie) in un unico calderone che alla fine risultava confuso. I personaggi principali (da Leo Notte a Bibi Mainaghi, da Veronica Castello a Luca Pastore) erano così stereotipati da risultare quasi macchiettistici, mentre i dialoghi erano assai miseri, soprattutto per una produzione Sky, che con Romanzo Criminale e Gomorra ci aveva abituati a ben altri standard.

Ora che l’idea di Stefano Accorsi si è trasferita un anno dopo, nell’anno del terrore 1993, sembra che gli sceneggiatori si siano un minimo svegliati dal torpore che contraddistingueva il primo capitolo di quella che nelle loro intenzioni sarà una trilogia. C’è più ritmo, c’è più suspence, ma i dialoghi rimangono ancora una volta il punto debole di tutta la baracca. La differenza principale tra “1992” e “1993” è il ruolo di Silvio Berlusconi nell’intreccio narrativo. Se prima, infatti, era un personaggio che aleggiava nelle vicende senza mai diventare protagonista, nei primi due episodi di questo secondo capitolo l’allora Cavaliere diventa centrale, fondamentale nel tentativo di reazione di un certo sistema politico ed economico alle indagini di “Mani Pulite”. L’ottimo Paolo Pierobon tratteggia un Berlusconi credibile e verosimile, per nulla macchiettistico, riuscendo a interpretare un personaggio scivoloso, difficile da rendere sullo schermo senza cedere alle caricature degli ultimi 25 anni. Pierobon ci riesce alla perfezione, fagocitando il resto del cast e diventando protagonista assoluto di uno snodo fondamentale nella trama e nella storia italiana.

Il resto del cast si conferma sui livelli di due anni fa: Guido Caprino è sempre più convincente nei panni dell’onorevole leghista Pietro Bosco, Miriam Leone è bella da mozzare il fiato (e brava) in quelli dell’ambiziosa soubrette Veronica Castello. E poi c’è Domenico Diele, il poliziotto sieropositivo Luca Pastore, che conquista sempre più spazio nella sua ossessiva ma comprensibile ricerca della verità nello scandalo del sangue infetto. Su Tea Falco, la cui interpretazione in “1992” aveva fatto discutere sin troppo critici e telespettatori, non si può dire ancora molto, visto che nei primi due episodi di vede e soprattutto si sente poco. A dar retta alle sue dichiarazioni, sembra aver lavorato molto sul personaggio, smussando quelle insopportabili difficoltà di comprensione che avevano creato un caso mediatico due anni fa. Vedremo. Stefano Accorsi continua a essere Stefano Accorsi, sempre uguale a se stesso nel bene e nel male, mentre il cast è impreziosito da alcuni interpreti secondari, prima tra tutti una Laura Chiatti finalmente protagonista di una interpretazione semplice, a togliere, minimalista.

“1993” sembra più avvincente di “1992”, va detto, ed è merito soprattutto di un ritmo più incalzante che due anni fa mancava completamente, annoiando a morte lo spettatore nonostante la frenesia e il pathos dell’epoca storica raccontata. Gli sceneggiatori hanno pigiato finalmente il piede sull’acceleratore, e grazie a questo cambio di passo vanno in secondo piano anche i difetti che il prodotto contiene, soprattutto per quanto riguarda i dialoghi. La cosa più interessante della serie, però, resta la ricostruzione storica, i riferimenti sempre più presenti a fatti e personaggi reali, i camei in video o in voce di personaggi come Gad Lerner, Maurizio Costanzo o Gigi Marzullo, una colonna sonora non efficacissima che non può provocare un moto di inarrestabile nostalgia in chi all’epoca era già nell’età della ragione.

La strada di questa nuova stagione è ancora lunga e prima di tracciare un bilancio definitivo è saggio attendere gli ulteriori sviluppi narrativi. Per adesso, e non è poco se pensiamo a cosa era “1992”, ci si annoia di meno. Ma con Gomorra e The Young Pope, capolavori stilistici, Sky ci ha abituati a un altissimo livello e non a versioni migliorate e più contemporanee di una fiction Rai.

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