Dopo 49 anni di trasmissione, Mabat, lo storico telegiornale del canale di Stato israeliano è stato cancellato. Geula Even, la giornalista che conduceva da anni l’edizione di punta, lo ha annunciato trattenendo a stento le lacrime non solo per il dispiacere, ma per l’umiliazione di averlo saputo tramite un’agenzia di stampa proprio mentre era in onda. La decisione è stata presa dal primo ministro Benjamin (Bibi) Netanyahu che, dalla sue rielezione nel 2015, ha anche la delega alle telecomunicazioni.

Il comunicato che la giornalista si è ritrovata a dover leggere recita: “Su ordine del governo che si accinge a lanciare la settimana prossima un nuovo ente pubblico di radio-trasmissioni, ‘Kan’, la nostra testata cessa di andare in onda”. Uno dei primi a denunciare la decisione è stato Yaakov Achimeir, per decenni una delle più autorevoli figure del giornalismo televisivo. “Ormai sembra di essere in Turchia o in Russia”, ha sottolineato, aggiungendo: “Non solo ci uccidono ma ci seppelliscono come fossimo un asino, senza nemmeno darci un preavviso. Questo è un momento di vergogna per il governo”.

Anche i programmi di radio Gerusalemme sono stati sospesi in attesa che il nuovo ente pubblico diventi operativo. Il personale tecnico e della redazione, alla fine del suo ultimo telegiornale si è presentato in studio e davanti alle telecamere ha salutato i telespettatori cantando l’inno nazionale. Il quotidiano progressista Haaretz ha commentato così l’accaduto: “Il primo ministro Benjamin Netanyahu ha affermato che la chiusura dell’emittente è parte delle riforme messe a punto per creare una nuova organizzazione sostitutiva. Ma gli addetti ribattono che Netanyahu era scontento di quella che considerava un’informazione critica, perché il suo scopo è controllare i media a proprio vantaggio”.

Bibi è da mesi sottoposto ad alcune investigazioni della magistratura per sospetta corruzione, una di queste riguarda proprio i suoi rapporti con l’editore del giornale filogovernativo Yedioth Aronoth, e per questo starebbe facendo di tutto per stornare l’attenzione sulla questione. La battaglia parlamentare per evitare la nascita del nuovo ente è stata lunga ma, alla fine, hanno prevalso i parlamentari dei partiti conservatori di destra e religiosi che fanno parte della coalizione di governo.

Per capire meglio come stiano davvero le cose ho contattato l’avvocato Iftach Cohen, esperto di diritti umani, che mi ha confermato la versione di Haaretz e dei giornalisti licenziati: “La vera ragione di questa ‘innovazione’ è il tentativo del governo di distruggere totalmente l’indipendenza dei media. In realtà, si tratta di una mossa piuttosto superflua, visto che la maggior parte dei media israeliani è già da anni costituita da testate di informazione di fatto portavoce dei governi, del potere, indipendentemente dall’orientamento politico. E suona ancora più ridicolo se si pensa che il canale di Stato ha una percentuale di ascolto bassa”.

L’avvocato di Tel Aviv, noto anche per le sue battaglie contro le colonie ebraiche e l’occupazione dei territori palestinesi oltre alla difesa dei diritti delle minoranza e dei migranti, ricorda che questo modus operandi è tipico di Bibi: “Vuole che tutti gli siano fedeli e devoti. La fedeltà acritica a Bibi ormai è la chiave per fare carriera in Israele. Ne è un esempio l’ascesa del procuratore generale Avichai Mendelblit. Prima di essere promosso a questo incarico infatti era stato il fedelissimo segretario generale del governo Netanyahu”.

E’ vero, Israele sembra sempre più simile alla Turchia di Erdogan e alla Russia di Putin dove la fedeltà è una conditio sine qua non per accedere a qualsiasi incarico pubblico. Sarà per questo che Bibi, Erdogan e Trump si piacciono. Anche The Donald ama la “fedeltà”come è emerso dal recente licenziamento del capo dell’Fbi, James Comey.

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