di Carblogger

Lunedì, come ogni settimana, ho cincischiato sui supplementi economici di Corsera (L’Economia) e Repubblica (Affari e Finanza). Sul primo mi sono imbattuto in un Marchionne a pagina 37, finito in una classifica di Reputation Institute sulla base di un’analisi delle maggiori aziende del mondo. Grafici, fotina, qualche riga sul metodo d’indagine.

La faccina di Marchionne è in cima. Incuriosito, noto che il numero uno di Fiat Chrysler e di Ferrari è al terzo posto, dopo Bob Iger, boss di Walt Disney, e di Giovanni Ferrero, l’azienda della Nutella per intenderci. Accidenti: 85,4 punti per il primo, 84,7 per il secondo, 84,2 per Marchionne che dà giù pure a personaggi come Jeff Bezos di Amazon.

Sempre più incuriosito, scopro però che Marchionne vola alto soltanto per la Ferrari. E Fiat Chrysler? Il gruppo, da cui la Ferrari è stata sapientemente scorporata, fa parte di un pattuglione di aziende: “Le altre italiane” (recita il titolino, dunque non è né americana come tutti pensiamo, né di diritto olandese come da registrazione societaria ad Amsterdam), tutte impilate su un piede, come si dice in gergo giornalistico, cioè la fascia bassa.

Dove l’occhio spesso non cade. A me però cade l’occhio e vedo che Fiat Chrysler è al 129esimo posto con 63,6 punti. Mah, anche se sempre meglio delle nostre banche (ci vuole poco) o di Finmeccanica (questo mi stupisce) o della Rai (questo no).

“L’analisi ha rivelato che la reputazione, nel nostro Paese, è legata più ai comportamenti dell’azienda che non alla qualità dei suoi prodotti”, spiega il direttore di Reputation Institute. Finalmente capisco questa doppia reputazione di Marchionne. Che poi è sempre meglio di una sola dubbia.

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