di Renato Foschi*

Negli ultimi decenni sono numerosissimi gli studi psicologici sul comportamento politico. Tale settore è tuttavia ancora pionieristico e poco conosciuto. Questa “mancanza” nasce anche dalla vulgata, diffusasi nel nostro paese, secondo cui non esisterebbero sostanziali “differenze” fra destra e sinistra. La ricerca psicologica contemporanea, al contrario, dimostra l’esistenza di differenze fra “personalità” di destra e di sinistra. In sostanza, gli individui possono essere classificati in base ad alcuni criteri fondamentali che poi sono in connessione con i classici valori politici di eguaglianza e libertà.

Su un continuum, si può essere più o meno autoritari o libertari dal punto di vista etico, ma allo stesso tempo si può essere differentemente egualitari o conservatori dal punto di vista economico. Ci può essere dunque la persona conservatrice dal punto di vista etico o morale che sente tuttavia di essere egualitaria dal punto di vista economico. Ci possono poi essere coloro che sono tendenzialmente liberali dal punto di vista etico o morale, ma conservatori sotto il profilo economico.

La ricerca contemporanea evidenzia anche differenti attitudini verso l’incertezza e l’ambiguità delle diverse “personalità” politiche. Alcuni gruppi di persone, talora la maggioranza, rifiutano le situazioni ambigue e incerte, preferendo il già noto e classificato. Questa è una tendenza propria di una “destra”, più suscettibile a spaventarsi in una società aperta, percepita soprattutto come pericolosa. In ogni caso, occorre sottolineare l’esistenza delle “polarizzazioni”, delle ideologie che portano ai fenomeni della radicalizzazione delle idee e ai fondamentalismi. La psicologia ha dimostrato che le radicalizzazioni ideologiche svolgono, per giunta, una fondamentale funzione “palliativa” rispetto alle ingiustizie di natura economica e giuridica che opprimono alcuni ceti sociali.

Su questa via, i ricercatori giungono oggi a riaffrontare l’antica questione della natura e della cultura in termini politici, per giunta sollecitati dalle neuroscienze che evidenziano pattern differenti di funzionamento neurologico per la destra e la sinistra. John Jost, uno dei più attivi psicologi politici, ha spesso affrontato tutte queste questioni, dimostrando che la relazione ambiente-cervello non è unidirezionale. Non sappiamo cioè se viene prima l’uovo o la gallina (“chicken or the egg causality dilemma”).

Le recenti elezioni francesi insegnano che Macron vince dichiarandosi né di destra, né di sinistra. Vince con un forte astensionismo e battendo un’avversaria che si identificava invece con le istanze della destra e soprattutto con il tema del sovranismo. Macron ha rappresentato, così, il gancio, vincente nel contesto francese, che ha condotto l’elettore a scegliere il candidato che meglio incarnava gli ideali repubblicani secondo una pregiudiziale antifascista. Macron evidenzia un altro tema importante, quello della “personalizzazione”, un potente fattore capace di mobilitare in suo favore l’elettorato. 

Ha assunto le sembianze del nuovo, dinamico, giovane, bello e di successo, che risolve i problemi con cui la maggioranza ha potuto identificarsi. Dunque, Macron vince per un’alchimia di fattori psicologici che lo fanno prevalere poiché capace di attirare gli elettori sulla base dell’identificazione fra eletto ed elettore. Le elezioni francesi dimostrano che, più che di mancanza di differenze fra destra e sinistra, occorre mettere in evidenza una complessità dello scenario politico che, unito ad una perdurante crisi economica, porta la politica a creare sistemi di rappresentanza per lo più maggioritari, che orientano l’elettorato “costruendo candidati”. Il sistema politico insegue proprio la psicologia dell’elettore, ma in questo processo sono ancora in gioco valori di destra o di sinistra, relativi alla cultura in cui si vota. Alla fine, infatti, prevalgono comunque le maggioranze culturali attive nei differenti territori. Così, in Francia ha vinto Macron e nella pancia rurale degli Stati Uniti ha vinto Trump.

In conclusione, occorrerebbe però chiedersi quale possa essere il sistema istituzionale in grado di svolgere una funzione progressista di “camera di compensazione” delle differenze psicologiche, evidenziabili nello spazio politico. Per la maggior parte dei paesi occidentali si è scelto, in base a criteri pragmatici e non psicologici, sistemi maggioritari che “costringono” le differenze. Tali costrizioni, tuttavia, portano direttamente alla deflazione di partecipazione politica, fattore che, in ultima analisi, è al contrario di quanto necessario alla produzione del “capitale sociale”, vitale per tentare di uscire dalla crisi economica.

*Psicologo e psicoterapeuta

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