Il capo del governo Mariano Rajoy lo ha ripetuto mille volte: il suo è l’unico governo che ha fatto leggi contro la corruzione. Su twitter lo prenodono per i fondelli: “Beh è vero. Ha legiferato in modo che non possano essere giudicati come corrotti“. Tangenti, malaffare, rapporti malsani tra politica e economia e processi troppo difficili da celebrare. Bienvenidos en Italia, aveva titolato El Paìs dopo la paralisi post-elezioni del 20 dicembre 2015, mai avvenuta da quarant’anni, cioè da quando c’è la democrazia. Ora la Spagna fa di nuovo un salto in Italia, sia pure con qualche anno di ritardo, e vede spaccare il proprio Parlamento sulle leggi anti-corruzione e sulle materie della giustizia. Il Paese iberico è stato scosso più volte negli ultimi grandi da scandali che dal lato politico hanno spazzato – a livello locale ma non solo – soprattutto il Partito Popolare, partito di maggioranza ormai da 6 anni, ma che hanno battuto soprattutto imprenditori e uomini della finanza. Le rivelazioni quotidiane sui giornali e il peso delle indagini su parecchi suoi esponenti non hanno impedito al Pp di approvare – due mesi prima delle elezioni politiche di fine 2015, poi ripetute 6 mesi dopo – una legge che ha fissato in una forbice tra 6 mesi e un anno e mezzo il tempo massimo per le indagini e, anzi, di essere ancora la forza politica più votata in Spagna, nelle urne e nei sondaggi usciti fino a oggi.

E’ il più italiano dei dibattiti, tanto che quella legge contestata viene chiamata dai partiti di sinistra (Podemos e Izquierda Unida) Ley Berlusconi. Lo scontro si riaccende oggi perché Podemos riporta quella legge al Congresso per cancellarla e lasciare più strumenti a chi indaga. “Non vogliamo un Paese in cui i potenti e i privilegiati stiano al di sopra della legge – dichiara il leader Pablo Iglesias – Per questo vogliamo abrogare la legge Berlusconi”.

Su questo Podemos è sostenuto da Izquierda Unida e alcuni partiti indipendentisti, ma chiede aiuto a Ciudadanos (entrati in politica con lo scopo di rinnovare la classe dirigente proprio sull’onda dei continui scandali) e anche al Psoe, altro partito socialista che in Europa cerca di uscire dal coma vigile, spaccato in vista delle primarie tra l’intransigenza dell’ex segretario Pedro Sànchez (che si è rifiutato fino alle dimissioni di far astenere il partito per far partire il secondo governo Rajoy) e la linea più morbida dell’ex presidente dell’Andalusia Susana Diaz. Il risultato è che, pur essendo il Psoe alla proposta di Podemos, nel giorno della discussione al Congreso la corruzione non è stato tema di dibattito di nessuno dei tre candidati alla guida del partito, Sànchez, Diaz e il basco Patxi Lopez.

L’approvazione dell’abbattimento della Ley Berlusconi appare scontata proprio perché sono tutti contro i popolari: da una parte perché sembra una legge fatta apposta dal Pp per difendere i propri finiti in tribunale e dall’altra perché – in un Paese che sta malino in termini di posti di lavoro e povertà – continua a passare l’idea che los grandes criminales se van de rositas, cioè la scampano in silenzio. C’è chi dice che la proposta di legge di Podemos sia un’iniziativa strumentale perché esiste già ed è stato approvato un testo di Ciudadanos di riforma totale della legge anticorruzione in discussione che elimina i limiti massimi fissati per istruire i processi. Da parte loro i Ciudadanos aggiungono che nella loro riforma si assicura che le indagini abbiano un ritmo spedito e non durino in eterno.

I casi giudiziari che hanno sconquassato la strada di politica e finanza in Spagna sono stati almeno 5 negli ultimi dieci anni, con centinaia di imputati e anni di indagini anche lunghe e complicate. Per due volte (i casi Bàrcenas e Gürtel) c’è finito dentro fino al collo il Partito Popolare, al quale a un certo punto è stata trovata perfino una contabilità parallela e che si è ritrovato intrecciato alle sorti di un imprenditore, Francisco Correa Sànchez, ritenuto dai pm capo del sistema corruttivo. È lui Gürtel perché anche se non c’entra nulla la Germania Gurt in tedesco vuol dire cintura proprio come Correa. Più comprensibile il modo in cui Correa aveva l’abitudine di farsi chiamare da amici e parenti: Don Vito, in memoria di Corleone. Dopo un po’ di tempo in carcere, è uscito su cauzione (a cinque zeri, pagata dalla mamma) e ora è a processo.

Nel caso Noos – sempre corruzione e questa volta con fondazioni onlus – è finita perfino la Corte Reale, nella rappresentanza autorevole di Cristina di Spagna, che ha cominciato da indagata come Infantae ha finito assolta nel processo come sorella del Re Filippo VI (nel frattempo Juan Carlos aveva abdicato). Nel fango non ce l’hanno trascinata né i giornali né i magistrati, piuttosto il marito, l’ex campione di pallamano Iñaki Urdangarin che è stato condannato a 6 anni e 3 mesi di carcere.

Non ne stanno fuori nemmeno gli indipendentisti catalani: il predecessore di Artur Mas era Jordi Pujol i Soley, per 23 anni governatore della Catalogna e infine principale imputato in un processo che lo vede capo di un sistema criminal-familiare per evadere tasse – secondo alcune fonti – per quasi 5 milioni di euro. Ha chiesto perdono, spiegando di non aver mai trovato il “tempo adeguato” per mettersi in regola.

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