Mentre il dibattito collettivo si dipana tra il rischio di dediabolisation della Le Pen con conseguente sdoganamento del pensiero fascista, gli automatismi deduttivi di chi interpreta il successo di Macron come la prova che ‘si sfondi al centro’, le polemiche interne alla sinistra che si divide tra quelli che davanti al male minore preferiscono astenersi e quelli che glielo rinfacciano accusandoli di un relativismo potenzialmente esiziale per la Repubblica di Francia, c’è un punto fondamentale che rischia di perdersi nel rumore di fondo: quella che avrà luogo domenica 7 maggio non sarà un’elezione ma una ‘diselezione’ presidenziale.

Ovvero? Stando alle indagini fatte dal Centro di Ricerca di Science Po sul corpo elettorale francese, meno di un elettore su due andrà a votare per eleggere qualcuno, ma si recherà invece di malavoglia alle urne per ‘non eleggere’ qualcun altro. Quello che i francesi chiamano ‘voto per difetto’ evidenzia quello che forse si può definire l’aspetto più interessante di queste elezioni: il disincanto. Un disincanto che va ben oltre la disaffezione alla politica che ben conosciamo: si potrebbe parlare di un vero e proprio nichilismo politico, che non viene riempito, a differenza di quanto raccontino in molti, da attrattivi contenuti post ideologici, ma viene semmai da essi viene alimentato.

E’ lecito azzardare l’ipotesi che la post ideologia sia direttamente proporzionale al disamore dei cittadini nei confronti delle Cose Pubbliche. E il nesso non è poi così peregrino nemmeno dal punto di vista logico: ben lungi dal fornire una connotazione identitaria, dal generare un senso di appartenenza, dal mettere in condizione di sentirsi parte di una comunità di intenti e pensieri nella quale riversare le proprie idee e i propri entusiasmi, la post ideologia agisce piuttosto in una direzione contraria: scarnificare fino all’osso gli insiemi d’appartenenza per convergere su obiettivi pratici da stabilire di volta in volta.

La riduzione della ‘back-story’ identitaria del soggetto politico, e di conseguenza di chi lo vota, genera come effetto collaterale un distacco sentimentale dell’elettore, che coscienziosamente si reca lo stesso alle urne ma lo fa con una partecipazione astenica: pretendere d’altronde di vedere un elettore emotivamente galvanizzato di fronte alle ricette economiche neoliberiste di Macron ripassate in padella e condite con lo slogan ‘né di destra né di sinistra’ è quantomeno ambizioso. Nonostante lo sforzo estremo del candidato di En Marche di scaldare i cuori attraverso l’utilizzo di un linguaggio sentimentale, nel tentativo di sostituire l’adesione a degli ideali con il legame affettivo nei confronti delle persone (‘Vi amo’ ha detto ai suoi sostenitori utilizzando la lettera di Diderot a Sophie Volland), la sua disciplinata concretezza, farcita di ottimismo forzato con richiami alla storica grandezza della Francia, non accende gli animi del popolo.

Del resto, se il nichilismo secondo Nietzsche rimanda alla ricerca della verità in un altrove fuori dai sistemi di realtà comunemente ammessi, la verità del nichilismo post ideologico del probabile futuro Presidente risiede in teoremi economico-finanziari che declinano il Verbo della tecnocrazia transnazionale. Che Macron vada al governo è dunque più che probabile, che il popolo francese sia con lui appare molto più complesso.

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