Solo uno dei tre candidati principali rimasti fuori dal ballottaggio a seguito dei risultati del primo turno in Francia non si è espresso pubblicamente con alcun tipo di endorsement verso Emmanuel Macron o Marine Le Pen (che ieri sera si sono confrontati nell’ultimo dibattito tv pre-ballottaggio). E non solo continua a non farlo, ma pare che anche tra i suoi ci sia una certa indecisione sul da farsi il 7 maggio, quando la Francia deciderà chi sarà il prossimo presidente della Repubblica per i cinque anni a venire. In compenso, Jean-Luc Mélenchon, l’uomo più a sinistra nel parco candidati (di gran lunga) sopra la soglia del 5%, ha lanciato all’inizio della scorsa settimana un sondaggio nel sito del proprio movimento (La France insoumise, che ha per simbolo un phi greco), per non scontentare nessuno e tastare il polso di coloro che hanno votato per lui – e si sono registrati sulla piattaforma online – in prospettiva secondo turno.

Perché è importante capire cosa fanno Mélenchon e i suoi? La France insoumise, insieme a En Marche, partito di Emmanuel Macron, ha partecipato ampiamente al saccheggio di voti dal bacino elettorale del Parti socialiste di Hamon, che è riuscito a toccare il minimo storico per il partito negli ultimi 48 anni. Di fatto, Mélenchon si è presentato al primo turno come il vero candidato della sinistra, con un programma rosso-verde e una retorica aggressiva verso i potenti ed estremamente affascinante per giovani e i disoccupati, riuscendo effettivamente a fare incetta di voti in queste categorie.

Il risultato rappresenta comunque un exploit considerevole: con un paragone veloce tra le elezioni del 2012 e il primo turno di quest’anno, vediamo che Mélenchon per poco non è riuscito quasi a raddoppiare il numero di preferenze ottenute in percentuale (11,10% nel 2012; 19,58% nel 2017) e in voti reali (3.984.822 nel 2012; 7.059.951 nel 2017). Il fatto che il leader de La France insoumise non abbia preso posizione dopo il 23 aprile ha destato perplessità in molti. È chiaro però che Mélenchon sia consapevole dei malumori interni al suo movimento nei confronti di Emmanuel Macron. Allo stesso tempo, sa che molti dei suoi lo voteranno comunque per fermare Marine Le Pen.

Non è escluso, tuttavia, che una parte più estrema del suo elettorato stia facendo più di un pensierino sul Front national per attaccare la santa alleanza centrista che, durante la campagna degli ultimi mesi, non è stata risparmiata da invettive e assalti frontali provenienti da sinistra. L’opzione Front national non era neanche presente nel sondaggio online lanciato sulla piattaforma, ma, secondo diversi osservatori, non si tratta di un elemento rivelatore a riguardo – anche considerato il fatto che vi è stato bisogno di spiegare chiaramente perché tale voce sia stata esclusa dalla consultazione.

Interessante è invece vedere come Mélenchon e compagni siano quasi perfettamente spaccati in tre sul da farsi al secondo turno. Lo zoccolo duro è rappresentato senz’altro da quei due terzi di elettori che hanno intenzione di votare scheda bianca o nulla (36,12% dei rispondenti) o astenersi totalmente dalla consultazione (29,05%). Il 34,83% dei più di 243mila partecipanti al sondaggio online voterebbe invece per Emmanuel Macron.

I numeri spiegano in maniera abbastanza chiara perché Jean-Luc Mélenchon abbia rifiutato di esprimersi nettamente in merito alla posizione da prendere al secondo turno: 243mila partecipanti a un sondaggio non sono certo sette milioni di voti, ma costituiscono sicuramente un campione sufficientemente rappresentativo delle diverse posizioni che animano la France Insoumise. Bonus: consapevole di queste divisioni interne, non esporre il conflitto tra identità interno al movimento consente a Mélenchon di provare a sfruttare il bottino elettorale guadagnato al primo turno in vista delle legislative dell’11 giugno prossimo, il voto che definirà forma e faccia degli equilibri in Parlamento per la creazione delle maggioranze di governo.

Fino a questo momento, il leader insoumise se l’è cavata abbastanza bene ed è riuscito a non prendere una posizione netta e chiara. Tuttavia, pare evidente che le voci nel movimento siano per ora sul filo di un equilibrio precario riassumibile nell’adagio “Essere d’accordo sull’essere in disaccordo”. Alla luce di tutte queste considerazioni, non è affatto scontato che l’impeto e la forza del movimento col phi greco non si consumino con la fine della stagione elettorale, nel giro di qualche settimana. Si avvicinano i banchi di prova, le reazioni e il periodo post-presidenziali, che ci permetteranno di capire fin dove effettivamente può ancora spingersi Jean-Luc Mélenchon.

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