L’Invalsi compie dodici anni. A partire da questa settimana ritorna nelle nostre classi ma pochi hanno compreso a cosa serve, se serve, se migliora il sistema d’istruzione del nostro Paese, perché e come misura gli apprendimenti dei nostri ragazzi.

Molte mamme e papà ogni anno mandano i loro figli a scuola senza porsi troppe domande sul test; se provi a chiedere loro ti rispondono: “Non lo so a che serve. Lo fanno”. Molti, troppi colleghi insegnanti, lo somministrano perché va fatto. Punto e basta. Se indaghi ti rispondono: “Con tutto quello che ho da fare non ho certo tempo come te di far polemica. Lo faccio, punto. Tanto non mi cambia nulla”. Oppure: “Se anche faccio sciopero tanto il dirigente obbliga qualcun altro a somministrarlo. Perciò meglio che stia io in classe”.

I peggiori, per mesi, addestrano i ragazzi con uno degli oltre 230 manuali di simulazione del test Invalsi che esistono negli scaffali delle librerie convinti che debbano fare bella figura altrimenti chissà…

I dirigenti, da quando esiste questa farsa dell’autovalutazione (ma voi ce lo vedete un preside che si fa autocritica?) sono preoccupatissimi di mostrare che la loro scuola ha i risultati migliori e si vantano di mostrare ai collegi docenti che anche gli alunni migranti hanno raggiunto (aiutati da qualche insegnante; si chiama “cheating” degli insegnanti ovvero la manipolazione diretta o indiretta dei risultati, più diffusa di quanto possa immaginare l’Invalsi) buoni risultati senza guardare di là del proprio naso e osservare che nonostante ciò la maggior parte di questi ragazzi finisce ai professionali.

Detto ciò resto convinto che una valutazione del sistema d’istruzione ci debba essere, chiamala Invalsi o come altro vuoi ma dopo il lungo rodaggio necessita di una revisione per più motivi.

1) Proviamo a fare insieme una prova. Apriamo il link di seguito per fare il test dello scorso anno elaborato per i ragazzi di classe quinta. Nulla di difficile. Nulla di particolarmente stressante. Ma cosa misura questo test? La capacità di comprendere un testo e le conoscenze grammaticali. Nulla di più. E allora la mia domanda è: siamo sicuri che si debbano misurare solo questi livelli di apprendimento in una società che ci chiede di cambiare il nostro sistema formativo? Come scrive il presidente dell’Indire Giovanni Biondi “la nostra è una scuola costruita per una società industriale” ma la società industriale non esiste più. Certo saper leggere e scrivere è fondamentale ma non serve forse misurare la capacità che ha la nostra scuola di rendere creativi, elastici i cervelli dei nostri ragazzi? Non serve, forse, oltre a misurare gli apprendimenti in italiano e matematica, avere un monitoraggio delle competenze (non delle conoscenze) che la scuola sa dare?

2) Il test Invalsi è frutto di una scuola rimasta ferma all’idea di lezione frontale che non mette al centro il “fare”. Le nostre aule sono ancora quelle pensate ai primi del Novecento e spesso la Lim ha solo potenziato l’idea di lezione frontale. Il test Invalsi monitora ancora quel tipo di scuola tant’è che viene somministrato applicando il modello della lezione trasmissiva, stabilendo persino dei tempi (due minuti per la prova di lettura in seconda; 75 minuti per la prova di italiano in quinta).

3) Facciamo un “gioco”: se facessimo dei test Invalsi agli insegnanti e ai dirigenti? Continuiamo a voler valutare il sistema d’istruzione applicando una valutazione sugli alunni. Vogliamo verificare quanti insegnanti sanno comprendere un testo? Quanti sanno l’etimologia delle parole? Quanti conoscono il termine, per esempio, “parresia” o “sclerocardia”? O meglio ancora vogliamo verificare quanti docenti sanno insegnare?

4) Provate a leggere a questi link i risultati delle ultime due rilevazioni (qui e qui). Vi accorgerete che non cambia mai nulla. Uguali più o meno da dodici anni a questa parte. Dall’altro canto di fronte ad una scuola che non cambia cosa ci potremmo aspettare? Quanti test dobbiamo ancora somministrare per dire sempre la stessa cosa?

5) Il fallimento dell’Invalsi sta nel fatto che dal prossimo anno scolastico toglieranno la prova dall’esame di terza media. Ben venga! Peccato che quando è stata introdotta questa novità, molti di coloro che tutti i giorni stanno a scuola abbiano usato ogni mezzo (la penna, la voce) per far capire ai “decisori” che quella scelta era assurda. Tra le novità del prossimo anno c’è un’altra prova del fallimento dell’Invalsi: sarà, infatti, reso obbligatorio per gli studenti e gli insegnanti della secondaria. Pena la non ammissione alla maturità. Quando un Istituto dello Stato impone uno strumento è chiaro che siamo di fronte ad un fallimento.

6) L’Invalsi continua ad avvalersi degli insegnanti non solo per somministrare la prova (e fin qui ci sta seguendo la logica del legislatore) ma anche per correggere le prove senza riconoscere il lavoro in più del docente.

7) Diamo una chance all’Invalsi. Con la Legge sulla Buona Scuola che a detta di chi l’ha fatta dovrebbe aver potenziato le risorse nella scuola, risolto i problemi della carenza degli insegnanti di sostegno; assicurato la continuità didattica; fornito la formazione agli insegnanti con 500 euro offerti a proprio uso e consumo e chi più ne ha più ne metta; la nostra scuola ora dovrebbe aver raggiunto traguardi che nessuno può immaginare. Bene! A questo punto i risultati del test Invalsi di quest’anno non potranno che far emergere questa straordinaria rivoluzione. Non vedo l’ora di vedere i risultati dei test che verranno somministrati a partire dal 5 maggio.

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