Traumi, schiacciamento e asfissia. Il procuratore di Pescara Cristina Tedeschini spiegò in una conferenza stampa che le 29 vittime della valanga che seppellì l’hotel Rigopiano a Farindola  era morte quasi tutte sul colpo ed era quindi irrilevante il ritardo di quasi due ore nell’avvio dei soccorsi. Oggi il quotidiano La Repubblica racconta la storia di Paola Tomassini, 46 anni, di Montalto, in vacanza con il compagno anche lui deceduto sotto la massa di neve e macerie. Una storia fatta di oltre quaranta ore di agonia cercando di madare messaggi, fare telefonate per attivare i soccorsi ed esprimere il suo amore per i familiari. La memoria del cellulare che la donna teneva stretto tra le mani ha restituito il film di quelle ore: la donna ha inviato 13 messaggi e provato 15 volte a chiamare il 112 e amici e parenti. Uno sforzo inutile perché lassù non c’era più campo. Dopo messaggi disperati Paola ha scritto l’ultimo sms: “Vi amo tutti. Salutami mamma“. Tre giorni fa la Procura ha reso noto il primo punto fermo dell’inchiesta sulla tragedia con l’avviso di garanzia a sei indagati tra cui il presidente della Provincia di Pescata Antonio Di Marco e il sindaco di Farindola Ilario Lacchetta.

“Se tra gli indagati non compaiono persone fisiche, dipendenti o rappresentanti della Prefettura o della Regione Abruzzo, la spiegazione è che allo stato delle indagini non abbiamo individuato condotte di singole persone fisiche che paiano penalmente rilevanti, in relazione alle ipotesi di reato di cui oggi parliamo, cioè omicidio colposo e lesioni colpose” aveva detto il procuratore spiegando come mai assieme ai sei indagati non comparivano esponenti della Regione Abruzzo e della Prefettura di Pescara, contro i quali avevano mosso accuse alcuni legali dei familiari delle vittime. “La procura non fa il processo agli enti, ma fa le indagini sui comportamenti di persone fisiche – prosegue Tedeschini -. Quando si chiede dove sono la Regione o la Prefettura, sono questioni che chiamano in causa riflessioni diverse dalle nostre i piani di valutazione sono tanti e il mio piano di valutazione è quello del penale, io non faccio responsabilità civile, non faccio responsabilità disciplinari e soprattutto non faccio responsabilità politiche”. In particolare, rispetto al ruolo di coordinamento della Prefettura di Pescara, Tedeschini spiega: “La mia indagine non mi ha portato lì. La mia indagine, che verte sulla ricostruzione dei fatti, sul capire chi doveva fare che cosa, chi stava dove e chi sapeva cosa  oggi mi porta su quelle sei persone fisiche”.

Esiste un altro filone dell’inchiesta ed è quello relativo al crollo, che riguarda l’iter autorizzativo e la realizzazione della struttura. “Questo filone di indagine si colloca in un tempo diverso rispetto ai decessi e andrà a cercare i nomi di persone lontane nel tempo – spiegava il magistrato -. Il crollo è avvenuto adesso e occorrerà andare a ricercare condotte colpose di chi, insieme naturalmente a una valanga, ha concorso a cagionare il crollo di un edificio, ovvero di chi ha preso le decisioni di realizzare quella struttura, del progettista, del geologo che forse doveva fare un esame del terreno”.

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