Era pronto a sacrificarsi per Allah, a “far scorrere fiumi di sangue”. A Istanbul, probabilmente, dove qualcuno lo attendeva. Aveva assunto comportamenti ritenuti “anticipatori e prodomici al martirio” e non era un “semplice combattente” ma “svolgeva funzioni di collegamento” tra due gruppi che attraverso i Balcani e la rotta italo-greca puntavano verso la Turchia e la Siria. Questo è secondo gli investigatori il profilo di Lutumba Nkanga, il congolese arrestato dalla Direzione distrettuale antimafia di Lecce dopo le indagini condotte dalla Digos di Brindisi. “Elementi di prova inequivocabili” della sua appartenenza a Daesh, secondo le indagini, sono stati estratti dai suoi tre cellulari, sequestrati dopo l’arrivo del Cie di Restinco, alle porte del capoluogo pugliese, nello scorso dicembre. Quasi duemila messaggi e foto con “immagini di guerra e decapitazioni” solo nelle chat di Telegram, e poi le conversazioni su Whatsapp e Viber.

C’è voluto un colpo di fortuna per fermarlo: uno sciopero dei traghetti ha bloccato Lutumba Nkanga e il suo compagno di viaggio, Soufiane Amri, “foreign fighter” e ritenuto personaggio di spicco a Moabit, il quartiere di Berlino della Fussilet 33, la moschea frequentata da Anis Amri, lo jihadista autore della strage del 19 dicembre nella capitale tedesca. I due erano ad Ancona, pronti a salpare verso Patrasso per poi proseguire alla volta della Turchia. Ma il 4 dicembre le navi sono rimaste in rada e hanno dovuto alloggiare in un albergo tra il porto e la stazione. Così il loro viaggio in treno e pullman – iniziato il 2 dicembre a Berlino, passato attraverso Monaco di Baviera e Roma – si è interrotto nelle Marche, dove a causa dello sciopero non sono riusciti a imbarcarsi finendo nella rete di controlli della polizia. Soufiane Amri è stato accompagnato a Milano e rispedito in Germania, mentre per Lutumba Nkanga si sono aperte le porte del Cie di Brindisi.

E lì gli uomini della Digos guidata in quei giorni dal vicequestore Antonio Bocelli, una lunga carriera nell’antiterrorismo tra la Toscana e l’Ucigos romana, hanno iniziato a mettere insieme le tessere del puzzle. Scoprendo che quel ragazzo congolese di 27 anni era pronto al martirio. A dimostrarlo ci sarebbero una marea di chat farneticanti che inneggiano al jihad e poi i suoi contatti, anche con un tale Emra Abi che secondo fonti investigative tedesche era in contatto con Anis Amri. Tutti gravitanti nella stessa zona di Berlino, quartiere Moabit, dove in Perleberger Str. risiedeva Lutumba Nkanga e lo scorso 1 febbraio la polizia tedesca ha smantellato la parte tedesca di questa cellula islamista, nelle ore in cui la procura antimafia di Lecce firmava il suo decreto di fermo. La stessa pasta, la stessa appartenenza.

Secondo le indagini, il congolese non era solo un “semplice combattente disponibile al martirio” ma “svolgeva funzioni di collegamento di un gruppo che, simultaneamente a un altro, seppur seguendo rotte diverse – una balcanica e l’altra italo-greca – si dirige verso Istanbul e poi al confine con lo Stato islamico”. Avrebbe aiutato gli altri a procurarsi soldi e documenti falsi, proteggendo diverse persone che viaggiavano alla volta della Turchia per compiere “eventuali attentati e poter proseguire verso i territori occupati” dove poi combattere. Per lui era forse l’ultimo viaggio. Scrivono infatti gli investigatori che prima della partenza aveva “assunto comportamenti individuali ritenuti in letteratura e dagli organi di intelligence tipici tratti anticipatori e prodomici al martirio”: ha cercato una sposa di stretta osservanza dei costumi e della religione islamica, di estinguere i propri debiti e si era preoccupato di acquisire i crediti per il paradiso attraverso gli “hasant”, raccogliendo fondi per la sua moschea anche grazie alle sollecitazioni di Soufiane Amri nei confronti di altri musulmani radicalizzati.

A segnalare un suo probabile, imminente attentato non c’è solo il documento di 13 pagine che incita alla distruzione delle città e ricorda “il testamento del vostro profeta”, ovvero che “sull’isola degli Arabi non possono esserci due religioni insieme: la Turchia… prendete l’aiuto di Allah e attaccatela”. Ci sono soprattutto due messaggi, uno arrivato e l’altro inviato da Lutumba Nkanga. Il primo lo riceve mentre è in viaggio tra Berlino e Roma: “Possa Allah proteggerti e rafforzare il tuo amore verso di lui e fartelo amare più di ogni altra cosa. Voglia darti il paradiso e farci stare vicini in paradiso. Voglia perdonare i tuoi peccati. Amin Amin Amin. Io amo A.A. e te per volontà sua, fratello mio”. Una sorta di ultimo saluto da parte di un “fratello” combattente, secondo gli investigatori. L’altra è una “inquietante comunicazione” che induce la polizia a pensare a una “imminente operazione”: prima della partenza, il congolese aveva scritto a un soggetto non identificato che era già in Turchia segnalando “un punto specifico di Istanbul”. Lutumba Nkanga non ci arriverà mai, fermato da un sciopero dei traghetti nel porto di Ancona.

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