Nel mio viaggio lungo il bright side of the moon, incontro oggi il maestro Enrico Stinchelli. Regista d’opera e musicologo, Stinchelli è particolarmente noto al grande pubblico per la trasmissione di Radio3, La Barcaccia, che conduce sin dal 1988 (in duetto con Michele Suozzo) allietando milioni di appassionati di musica grazie ad un sapiente mix di ironia, passione e grandissima competenza tecnica.

Avrei voluto chiedere al maestro della sua ultima regia, l’Attila di Verdi andato in scena a Modena alcune settimane fa; avrei voluto sapere qualcosa in più sulla sua prossima regia a Roma, con Il Carnevale degli Animali di Saint Saens; avrei voluto qualche anteprima circa la sua Carmen e Aida (in scena il prossimo luglio ed agosto a Taormina e Siracusa). Ma Stinchelli è un fiume in piena, dal quale vengo irrimediabilmente travolto…

Prendiamo spunto dalla nota preoccupazione di Roman Vlad (compositore, musicologo e pianista rumeno naturalizzato italiano), il quale riteneva che la musica si trovi “in una situazione difficile, che rischia di diventare tragica”. Il regista, pur condividendo il timore, mi invita a riflettere sul fatto che fare arte non solo è ancora possibile ma soprattutto doveroso purché gli intellettuali e gli artisti liberi siano oggi disposti ad agire da soldati della cultura.

La discussione vira sulla bellezza, vero elisir in grado di proteggerci dagli orrori e dalle brutture del mondo. Convengo con Stinchelli circa il potere rivoluzionario dell’arte e della bellezza, nonché sull’odierno dramma di una dittatura soft fondata sull’orrore prêt-à-porter. “La gente è sopraffatta dal brutto e si è assuefatta all’orrore”, mi dice con rabbia. Riflettiamo sul fatto che una sinfonia è in grado di inondarci di bellezza, così come un’opera può illuminare la nostra anima e, tutto a un tratto, farci apparire il mondo come un luogo meno spaventoso. Ma la bellezza ha una sua oggettività che trascende il relativismo più becero, sottolinea il regista ricordando l’importanza delle sane differenze che hanno sempre contraddistinto l’arte nelle società pre-massificazione. “Ci sono canzoni straordinarie e sinfonie pessime mi dice, “Il problema riguarda piuttosto una fruizione consapevole delle differenze tra scrivere una bella canzone e una bella sinfonia”.

Stinchelli quindi, da sostanziale ottimista qual è, mi racconta di numerose sue esperienze registiche in cui, pur stando al di fuori di un certo establishment musicale, è riuscito a dar vita a produzioni di alto livello tecnico ed artistico senza ricorrere a finanziamenti stratosferici (magari pubblici). Esperienze positive possibili però, solo a condizione di possedere l’unica vera merce rara in circolazione, ovvero delle buone idee. A suo avviso, in un mondo persuaso dal fatto che i soldi possano risolvere sempre tutto, sono proprio le buone idee a latitare, in particolar modo nel mondo dell’arte. “Un’idea non ha prezzo” mi dice, precisando dopo una lunga riflessione che un’intuizione registica, musicale, o scientifica che sia, può nascere solo in un humus culturale vivo, frequentando grandi letture, concerti, discussioni con menti libere. “La gente aspetta che gli venga un’idea, come se fosse in attesa di una vincita alla lotteria. Ma non è così che funziona” chiosa sorridendo.

Dopo un salto nell’iperuranio, cerco di ricondurre il maestro sulla terraferma chiedendogli cosa ne pensi del fatto che alcuni registi d’opera (anche importanti) non conoscano la musica che mettono in scena. Stinchelli allarga le braccia, confessandomi di invidiare molto i colleghi che si dedicano a regie di lirica senza essere musicisti, almeno un po’. Per lui la regia di un’opera è infatti scritta principalmente nella partitura, che rappresenta una sorta di codice segreto da decifrare per poterne riportare alla luce, l’originaria bellezza. Ma la regia per Stinchelli è principalmente visione, colori, movimento e soprattutto luce. Concetto quest’ultimo, che sembra affascinarlo moltissimo tornando con la memoria a quando si innamorò della musica proprio in virtù del riverberarsi della luce sui grandi ottoni dell’orchestra, durante una Turandot, cui la famiglia lo aveva portato ad assistere.

E già… Famiglia, concerti, educazione musicale… Tutti temi che offrono numerosi spunti di riflessione. Citando Baruch Spinoza, il maestro parla di ignoranza immorale, rincarando la dose a proposito del fatto che l’accessibilità alla cultura non è mai stata semplice e libera come lo è oggi. “Ognuno è il fabbro di se stesso” mi dice ricordando il noto aforisma. Essere ignoranti oggi, è per lui doppiamente intollerabile ed insopportabile. “Mi auguro un ritorno alla televisione di Bernabei, in cui la cultura entrava nelle case della gente sotto forma di gradevolissimi sceneggiati TV, che irradiavano almeno un po’ della luce dei grandi capolavori della letteratura e cultura occidentale” afferma il regista. Cresce in me, il rammarico di essere nato negli anni 80.

Nel congedarci chiedo a Stinchelli quale sia la sua opinione sulla musica contemporanea, di cui il maestro mi confessa innanzitutto di non condividere neppure il nome, dato che contemporanea non è più ormai da decenni. Gli sovviene Stockhausen che, dando un pugno sul tavolo esclamò: “Ecco, per me questa è musica!”. Segue un lungo silenzio complice. Il maestro mi racconta infine, di programmi concertistici strutturati posizionando i brani contemporanei nella prima parte e quelli classici, romantici o barocchi nella seconda, per costringere il pubblico a rimanere fino alla fine. “È triste”, aggiunge. Gli confesso di avere la netta sensazione che molti stiano oggi abbandonando la nave che affonda, tornado con invidiabile disinvoltura a posizioni meno autoreferenziali. Sorride ed aggiunge: “Non mi piacciono molto quelli che sciolgono il cane contro il leone morente”.

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