Le organizzazioni umanitarie che soccorrono in mare migranti e richiedenti asilo sono sotto accusa. Ma chi non ama il loro lavoro e sospetta trame e arricchimenti avrebbe a portata di mano la soluzione: sostenere l’iniziativa dei corridoi umanitari.

di Maurizio Ambrosini (Fonte: lavoce.info)

Migranti e “taxi del mare”

Un altro capitolo si è aggiunto alla tragedia del Mediterraneo e alla drammatica saga dell’arrivo di migranti e richiedenti asilo dal mare. Con una sorta di escalation delle polemiche, ora sono sotto attacco politico, giudiziario e mediatico, le organizzazioni umanitarie che li soccorrono in mare. Secondo i detrattori sono in combutta con i cosiddetti trafficanti, addirittura con i clan della malavita e persino con organizzazioni terroristiche. Non mancano i collegamenti con Mafia capitale e l’accusa di lucrare sull’accoglienza.

Stiamo parlando di Medici senza frontiere, insignita del premio Nobel, di Moas (Migrant Offshore Aid Station), che a Lesbo donò al papa il giubbotto di una bimba annegata, di Save the Children, di Sos Méditerranée e alcune altre. Innescato da un rapporto di Frontex, l’agenzia europea di sorveglianza delle frontiere, il punto sarebbe che scambiano telefonate con i trasportatori e arrivano troppo vicino alle coste libiche per soccorrere le persone. Agirebbero come “taxi del mare”. In una fase precedente, erano le stesse navi militari dell’operazione Sophia ad arrivare a ridosso delle coste libiche. Poi hanno ricevuto l’ordine di arretrare. Nello spazio di mare rimasto pericolosamente privo di presidio umanitario, si sono inserite le navi delle Ong.

Alle accuse Medici senza frontiere ha risposto: “L’alternativa implicita nelle accuse di Frontex alle nostre operazioni di salvataggio è quella di lasciare annegare le persone come strategia per dissuadere i trasportatori”, mentre Amnesty International ha definito la campagna dell’Unione europea contro le Ong “forse il più brutale indicatore di come i leader europei stiano voltando le spalle ai rifugiati”. Le organizzazioni hanno fatto notare che la distruzione delle barche degli scafisti da parte della missione Sophia li induce ora a usare natanti sempre più fragili e inadatti a tenere il mare: ciò richiede di arrivare il prima possibile a trarre in salvo i migranti. Si sta verificando un inasprimento dello schema (riportato sotto) individuato tempo fa da Jorgen Carling, uno dei maggiori esperti dell’argomento. In altri termini: l’accresciuta repressione peggiora le condizioni di viaggio e fa aumentare il numero delle vittime. Le Ong cercano di contrastare il fenomeno.

Figura 1

Una mediazione indispensabile

Si può aggiungere: le barche dei migranti sono di solito condotte da tre persone. Una tiene la bussola, la seconda il timone, la terza un telefono satellitare con cui chiamare soccorsi. I cosiddetti scafisti, come ormai ammettono le stesse fonti ufficiali, sono sempre più spesso altri migranti e richiedenti asilo che vantano qualche competenza nautica e in tal modo risparmiano sul costo del trasporto. Tra gli arrestati allo sbarco, figurano non di rado anche minorenni (quattro tra gli arrestati in questo primo scorcio del 2017).

Può non piacere, ma si verifica un’oggettiva convergenza d’interessi fra passatori interessati a liberarsi del loro carico umano il più in fretta e con meno costi possibili e organizzazioni non governative interessate a salvare vite umane. Interventi meno tempestivi e meno vicini alla costa libica provocherebbero di sicuro maggiori perdite.

Si potrebbe poi allargare lo sguardo. La contrapposizione tra Stati che ufficialmente hanno chiuso le frontiere e migranti che in un modo o nell’altro sono insediati sul territorio senza titoli di soggiorno validi (entrati perlopiù non dal mare, ma con visti turistici, se necessari) è mediata e attutita da varie istituzioni che forniscono servizi necessari senza chiedere documenti: gli ambulatori che dispensano cure mediche grazie a medici volontari, le scuole d’italiano per stranieri (una rete si chiama “Scuole senza permesso”), le mense per persone in difficoltà. Anche vari enti pubblici locali entrano in gioco, consentendo per esempio di accedere ai dormitori anche a chi è privo di regolari documenti. Senza queste forme di tolleranza, le persone rischierebbero di non ricevere cure, cibo, ricovero notturno nei mesi invernali, con gravi conseguenze. Potrebbero morire perché prive di un documento.

Negli Stati Uniti, le “città rifugio” attuano politiche dichiarate di accoglienza. Si sono contrapposte alle misure restrizioniste del presidente Trump, che a sua volta ha minacciato tagli dei fondi federali. Complottisti e “cattivisti” di casa nostra dicano chiaramente se vogliono incamminarsi sulla stessa strada, perseguendo attivisti, volontari e religiosi, tagliando i fondi ai comuni che accolgono senza discriminare, sospendendo le missioni di salvataggio.

Per quanto riguarda gli sbarchi, chi non ama le Ong e il loro lavoro, chi sospetta trame e arricchimenti, avrebbe a portata di mano una soluzione: sostenere e allargare l’iniziativa dei corridoi umanitari. Niente più rischiosi viaggi in mare, niente più scafisti e neppure salvataggi da parte di navi militari e organizzazioni umanitarie.

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