Trovare un’auto, o quel che ne resta, dopo che ha lasciato il paese dov’è stata immatricolata in origine può essere nel concreto abbastanza complicato. Specie se chi è coinvolto nel traffico illecito di veicoli o pezzi di ricambio, questo è spesso il destino delle auto “espatriate”, è ben organizzato e ha competenze di un certo tipo.

Per legge, i veicoli devono essere riconoscibili appena escono dalla fabbrica. Il metodo è quello della tradizionale punzonatura d’ufficio del numero di telaio, effettuata tramite l’apposizione (su varie parti del telaio, appunto, dove sia visibile) di una targhetta d’identificazione con stampigliati in modo indelebile i codici identificativi del mezzo. Questo perché, di solito, il telaio è l’unica parte che non può essere considerata (e venduta) come pezzo di ricambio: anche il motore e il cambio, dotati anch’essi di numero identificativo, non garantiscono l’associazione automatica a un determinato veicolo, perché possono essere sostituiti come tutte le altre componenti. Lo stesso numero di telaio è poi quello che viene riportato sui documenti di immatricolazione, in assenza dei quali può essere difficile stabilire di che auto si tratti effettivamente.

Soprattutto perché un numero di telaio può essere contraffatto, in diversi modi. Il primo è quello dell’alterazione di una o più parti della composizione alfa-numerica: di solito i meno complicati da contraffare sono alcuni numeri (1,6,7,8 e 9), che vengono martellati o ri-punzonati. Altra tecnica è quella della sostituzione della lamiera su cui è posizionata la targhetta, a cui in questo modo se ne sostituisce una nuova magari copiata (o sottratta) da un veicolo fuori uso o destinato alla rottamazione. E’ per questo che a volte si scoprono due o più veicoli con gli stessi codici identificativi.

Un modo per limitare questo tipo di truffa ci sarebbe, a patto che le case costruttrici utilizzassero marchiature meno tradizionali e più sofisticate, magari riconoscibili solo tramite speciali lettori ottici, o inserissero dei chip non duplicabili. Non soluzioni definitive, ma comunque deterrenti di una certa efficacia. Qualcosa di più viene dalla tecnologia della connettività, ma ad usufruirne potrebbero essere soprattutto le auto di nuova generazione, ovvero quelle localizzabili tramite sistema Gps. Oltre a individuarne la posizione, potrebbero anche venire “stoppate” da remoto per mezzo di un sistema che si chiama Stolen Vehicle Slowdown. E’ stato sviluppato, da qualche anno ormai, dalla General Motors (ma lo hanno anche altri costruttori), che lo ha messo a disposizione dei propri clienti tramite la piattaforma OnStar: in caso di furto, la centrale operativa manda un messaggio di “spegnimento” al propulsore e tanti saluti ai ladri.

Anche in questo caso, tuttavia, ci sono controindicazioni. L’operazione da remoto va fatta in tempi brevi, specie se il mezzo è in mano a esperti che possono intervenire sulle connessioni della centralina rendendo inutile ogni intervento esterno. Per non parlare di potenziali “intromissioni” da parte di hacker, che inserendosi nel sistema potrebbero magari disattivare un motore proprio quando l’auto è in movimento. E addio sicurezza.

Ci sarebbe poi un altro modo per rintracciare un veicolo, tutto sommato burocratico oltre che tecnico. Ogni marca potrebbe mettere a disposizione un database dei propri mezzi in circolazione: qualora uno di questi finisse presso un centro di assistenza di un paese diverso da quello d’immatricolazione e venisse riconosciuto (tramite i metodi sopra indicati), potrebbe scattare la segnalazione alle autorità e, se del caso, un eventuale fermo amministrativo. Ma è difficile che chi delinque si faccia prendere così facilmente.

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