Dopo un discutibile convegno alla Camera dei Deputati, anche la trasmissione di Rai 3 Report è intervenuta sull’argomento vaccini.

Il mantra comune è stato “non definiteci antivax, vogliamo solo vaccini sicuri”. C’è per caso qualcuno, a partire da chi li produce, che li vorrebbe invece contaminati? Quale genitore vaccinerebbe a cuor leggero i propri figli se gli si paventasse la possibile presenza di “nanoparticelle non biocompatibili”? Il punto chiave è che si tratta di bufale alle quali non andrebbe dato alcun credito, meno che mai su una televisione pubblica. Gli errori li commettiamo tutti, e ammetterli non è una tragedia. Anche ottimi giornalisti e scienziati sbagliano. Enrico Mentana ha affermato di essersi pentito presentando anni fa un discutibile servizio sulla “chemioterapia Di Bella”, il quale ha visto la partecipazione sia di oncologi seri che altre persone che non lo erano.

Personalmente, credo che alla buona fede degli autori di Report. Se però un programma che ha una certa reputazione presenta la possibilità che nei vaccini ci sia chissà quale inquinante è inevitabile che si diffondano false paure. Quello anti-HPV è invece un vaccino sicuro e utile, perché salva vite umane. Aver dato credito alla vicenda “nanoparticelle nei vaccini” è stato uno scivolone (purtroppo non l’unico). Ecco la storia.

Due coniugi, Stefano Montanari e Antonietta Gatti, affiliati a un laboratorio privato di analisi, si occupano da anni di presunte “nanopatologie”. Montanari è laureato in Farmacia e Antonietta Gatti (che su Twitter si definisce tra l’altro, esperta in “11 settembre e malattie misteriose”) in Fisica. In un loro studio del 2004, si descriveva la presenza di nanoparticelle di diversi metalli pesanti nel sangue di alcuni pazienti. Tra i metalli trovati c’erano sia il tungsteno che il wolframio.

In realtà tungsteno e wolframio sono proprio lo stesso identico elemento, ma chiamato con nomi diversi. Dopo aver annunciato più volte la scoperta di “nanoparticelle non biocompatibili” nei vaccini, hanno finalmente pubblicato i dati su una rivista del tipo “open access”, che richiede il pagamento di circa mille euro. La casa editrice è stata tra l’altro “trollata” di un giornalista burlone, il quale ha inviato un articolo farlocco riguardo una malattia inventata in una serie televisiva, il quale è stato accettato e pubblicato.

Con queste premesse, forse, sarebbe già dovuto suonare un campanello d’allarme. Assumiamo però che ciò che è riportato nel nuovo studio possa essere corretto. Gli autori affermano di aver preso un campione di 20 microlitri di soluzione di vaccino. Ecco una foto della siringa. Alzi la mano chi crede chi si possa misurare una quantità dell’ordine di “circa 20 microlitri” con questa siringa e affermare che ci siano “304 (non 303 o 305, proprio 304…) detriti”. Quindi, o la quantità non era quella oppure è stata utilizzata un’altra siringa.

Ma assumiamo anche che le nanoparticelle provenissero davvero dal vaccino e non da contaminazione esterna, eventualità tutt’altro che escludibile. Le particelle sono in tutte le soluzioni, tanto più se parzialmente o totalmente evaporate. Tramite un microscopio elettronico e la tecnica EDS, si può analizzare da quale tipo di atomi siano composte. Nell’articolo, sono riportate le foto di alcune singole particelle che in un punto specifico presenterebbero la presenza di alcuni metalli. Non c’è alcuna evidenza che le altre nello stesso vaccino abbiano tutte una composizione simile. Presenti poi in quali quantità? Questo aspetto cruciale non è affrontato nello studio. Ammettendo che addirittura l’intera particella sia costituita da “metalli”, arriveremmo comunque a quantità irrisorie, di nessuna rilevanza biologica.

Report avrebbe dovuto informarsi sulle incongruenze dello studio, evidenziate da più debunker, tra cui anche Salvo Di Grazia.

L’agenzia francese per la sicurezza dei farmaci, preoccupata dalle notizie potenzialmente allarmanti provenienti dall’Italia, ha analizzato la quantità totale di metalli in alcuni vaccini presenti anche nello studio e vi ha trovato solo tracce insignificanti. Questo l’errore peggiore: un ente affidabile ha spiegato che la metodologia è inattendibile, che quella presentata è un’analisi solo qualitativa e che le stesse irrisorie quantità sono presenti ovunque; per tutta risposta nel servizio si ribatte che il documento non riguarda il vaccino anti-HPV. Sarebbe bastato leggerselo, il rapporto, piuttosto che limitarsi a sventolarlo davanti alle telecamere.

E i dati sulla possibile tossicità o presunta “non biocompatibilità” delle nanoparticelle nei vaccini? Nulla. Neppure un povero topino al quale sia stata iniettate questa roba per vedere di nascosto l’effetto che fa. Quindi, la presunta tossicità a queste dosi (ammessa la loro presenza) è priva di qualsiasi riscontro.

La redazione di Report chiede trasparenza e di evitare conflitti di interesse da parte delle case farmaceutiche. Bene. È questo il compito del giornalismo d’inchiesta. A maggior ragione però, si sarebbe dovuta porre qualche domanda sui potenziali conflitti di interesse (nessuno dichiarato nello studio) dei titolari di un laboratorio privato il quale offre consulenze a pagamento. Si può “fare le pulci” a aziende farmaceutiche e enti regolatori se poi si dà credito a teorie non verificate?

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