Non fa il collezionista, ma i collezionisti lo considerano uno di loro. E gli hanno chiesto di aprire il suo scrigno. Roberto Spada fa il consulente fiscale di grandi aziende, ma il suo studio sembra una galleria. E una domenica ha fatto un brunch d’arte che sembrava la Primavera di Botticelli. Composizioni di fiori e profumi sui tavoli da riunione e petali di zagara nei piatti da degustazione con tartare di tonno e pecorino stagionato. A fare da corolla allo “Spada Partners” vetrate spalancate sulle facciata dell’imponente chiesa di San Paolo Converso. Lo studio porta la griffe dell’archistar, l’architetto Massimiliano Locatelli. Il filo conduttore della visita delle meraviglie lo tiene in mano la curatrice Silvia Somaschini, i grandi occhiali la fanno assomigliare ad Arisa, versione più colta.

Roberto, appassionato di religioni e filosofie orientali, un esploratore un po’ alla Bruce Chatwin, compra soltanto quello che gli piace di pancia. La sua prima installazione, che ne sta lì all’ingresso, è già un invito a riflettere. I ritratti dei dittatori africani del passato, non troppo remoto, sono tatuati sui popolari djembés, i tradizionali tamburi a mano, così come il loro operato è rimasto “tatuato” nel dna dei paesi che hanno ridotto a brandelli. L’artista Dimitri Fagbohoun, originario del Camerun, li prende simbolicamente a schiaffi mentre tambureggia. Formano un unicum e Spada ha comprato in blocco la serie “Autoportraits” dell’associazione Khoj Portfoglio alla quale aderiscono 40 giovani creativi indiani con il vincolo che l’opera non può essere smembrata. Dando così un notevole supporto alla creatività made in New Delhi e l’opportunità di farli notare. Spada non colleziona perché è di moda, lui fa mecenatismo sociale, ogni sua opera lascia un segno. Come nella serie “Rock Paper Scissors” dove Jinoos Taghizadeh, artista iraniana, ricostruisce attraverso l’uso di ologrammi la storia della Rivoluzione Islamica del 1979. O come nel “Buddha Melted” dell’artista milanese Marco Basta. L’opera è nata visitando il museo Hiroshima Peace Memorial che metteva in luce gli effetti dell’esplosione della bomba atomica non solo sulle persone, ma anche sugli oggetti. Tra questi c’era proprio un Buddha che sembrava liquefatto, fuso. L’emergenza alta e bassa marea è rappresentata dalle 279 fotografie scattate da Maria Morganti a Venezia nell’arco di un anno, in un punto ben preciso del canale.

L’ultima performance del cinese Li Wei lancia un messaggio inequivocabile: dopo l’11 settembre nessuno è più davvero al sicuro in nessuna metropoli del mondo. Da qui il titolo “Secure for now“, cioè siamo sicuri fino al prossimo attacco. La strategia del terrore ha modificato la nostra percezione. E così se osservato frontalmente il bambino sembra candido, capelli biondi e occhioni azzurri. In realtà dietro la schiena stringe con una mano una granata e con l’altra il detonatore. Pronto a farla esplodere. Ci sentiamo davvero sicuri e per quanto? Mi distoglie dal pensiero attanagliante il gozzovigliare dei presenti. E’ servito il risotto stellato. Lo ha mantecato Cracco da Melbourne dove sta per aprire un ristò. Ha volato, naturalmente, su Singapore Airlines dove il menù porta la firma della premiata ditta C&C (Carlo Cracco). Sui treni ad alta velocità si mangia Cracco, presta la faccia alle patatine in busta (quanto di più lontano si può essere dalla visione di un chef). C&C (Carlo e Camilla in Segheria) va alla grande e a ottobre aprirà in Galleria Vittorio Emanuele con la stuzzicante consulenza di Alessandro Ruggle, master in scienze gastronomiche: all’incirca 1000 metri quadrati (quanto di più lontano si può essere dalla visione di un ricercato slow food). Cracco non disegna ancora materassi che favoriscono la digestione ma si sta attrezzando anche su questo.

Twitter @januariapiromal

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